13. Restrizione dei poteri della suprema magistratura.
Anche il consolato e la pretura, sebbene dal rigeneratore aristocratico di Roma considerati più benignamente che non il sospetto tribunato, non sfuggirono a quella diffidenza verso i propri strumenti che in generale caratterizza l'oligarchia.
I poteri di queste cariche furono, sebbene con riguardi, assai sensibilmente ristretti. Silla seguì il principio della ripartizione degli affari.
All'inizio di questo periodo esisteva la regola seguente: spettava ai due consoli come in passato la somma degli affari devoluti alla suprema magistratura in generale; quindi era la trattazione di quelli, per cui non erano legalmente stabilite speciali competenze.
A queste apparteneva il foro giudiziario della capitale, nel quale, secondo una vigente regola inderogabile, i consoli non potevano ingerirsi, e così le magistrature d'oltremare allora esistenti, la Sicilia, la Sardegna e le due Spagne, nelle quali il console poteva avere il comando, ma lo aveva solo per eccezione.
Venivano quindi nel corso ordinario delle cose assegnate ai sei pretori sei giurisdizioni speciali, le due presidenze giudiziarie della capitale ed i quattro uffici d'oltremare; per cui in forza della loro competenza generale incombeva ai due consoli la direzione degli affari non giudiziari della capitale ed il comando militare nelle province continentali.
Essendosi dunque a questa giurisdizione generale doppiamente provveduto, uno dei due consoli rimaneva a disposizione del governo, e nei tempi normali questi otto supremi magistrati erano più che sufficienti.
Nei casi straordinari era lecito di accumulare le competenze non-militari e di prorogare quelle militari oltre il termine stabilito.
Non di rado si incaricava delle due presidenze lo stesso pretore e si demandava al pretore urbano il disimpegno degli affari della capitale, che, d'ordinario, spettavano ai consoli; molto saggiamente si evitava, al contrario, per quanto fosse possibile, di cumulare nello stesso individuo parecchi comandi militari.
In questo caso suppliva la massima che nell'imperium militare non v'era interregno; che per conseguenza il comando, benchè legalmente limitato nella durata, continuava a durare di diritto anche dopo spirato il termine, fintanto che il successore non desse il cambio al suo predecessore nel comando, e, ciò che vale lo stesso, il console ed il pretore in carica potevano e dovevano continuare nelle loro mansioni, dopo il termine, come pro-console o pro-pretore, se nessuno li sostituiva.
L'influenza del senato su questa ripartizione degli affari consisteva in ciò, che, stando alla consuetudine, dipendeva da esso di seguire la massima di far tirare a sorte tra i sei pretori le sei giurisdizioni speciali, e di lasciare che i consoli trattassero gli affari continentali non-giudiziari, e di staccarsene assegnando per avventura al console un comando oltremarino di particolare importanza momentanea, o una straordinaria commissione militare o giudiziaria, come sarebbe il comando della flotta, e di comprendere fra le competenze da ripartirsi una importante inchiesta criminale, dando in tal modo necessariamente occasione al cumulo d'impieghi e a proroghe nelle cariche; nel qual caso spettava al senato soltanto di fissare la aggiunta delle competenze consolari e pretoriali, non la nomina delle persone da assumersi per la carica, mentre questa generalmente avveniva per accordo tra gli impiegati concorrenti e si faceva dipendere dalla sorte.
In ciò la borghesia non s'immischiava per nulla: essa per il passato si era trovata nel caso di convalidare con uno speciale plebiscito la proroga del comando avvenuta di fatto per mancanza di sostituzione; ciò per altro appariva necessario più per lo spirito che per la lettera della costituzione e non tardò molto ad andare in disuso.
Nel corso del settimo secolo furono a poco a poco aggiunte sei altre giurisdizioni speciali alle sei esistenti: i cinque nuovi pro-consolati della Macedonia, dell'Africa, dell'Asia, di Narbona e della Cilicia, e la presidenza della commissione permanente istituita contro le concussioni.
Per l'ognora crescente sfera d'azione del governo si offrivano inoltre sempre più frequenti le occasioni straordinarie militari e processuali.
Ciò nonpertanto il numero dei supremi magistrati ordinari annuali non venne accresciuto e con otto nomine di magistrati da farsi ogni anno, astrazione fatta da tutto il resto, si doveva ogni anno provvedere per lo meno a dodici uffici speciali.
Nè, com'è ben naturale, si doveva attribuire al caso, se non si provvedeva una volta per sempre a questa mancanza con la creazione di nuove cariche di pretore.
Giusta la lettera della costituzione, tutti i supremi magistrati dovevano essere di anno in anno nominati dalla borghesia. Secondo il nuovo ordine, o per dir meglio disordine, – in forza del quale alle cariche che si rendevano vacanti si provvedeva anzitutto colla proroga del termine, che, ai funzionari i quali a tenore della costituzione dovevano stare in carica un anno soltanto, veniva comunemente prolungato di un altro anno per ordine del senato, che a suo talento pure poteva rifiutarvisi, – non era più la borghesia, ma il senato che distribuiva gli impieghi più importanti e più lucrosi dello stato, scegliendo gli individui da una lista di postulanti redatta dai collegi elettorali.
Essendo fra queste cariche ricercate particolarmente quelle al di là dei mari come le più lucrose, invalse la consuetudine di nominare, dopo spirato il termine della carica, ad un comando oltremarino, quei funzionari la cui carica di diritto o di fatto li obbligava a vivere nella capitale, quindi i due presidenti dei tribunali, e spesso anche i consoli, ciò che era compatibile col sistema delle proroghe, poichè l'ufficio del supremo magistrato funzionante in Roma e di quello funzionante in provincia veniva diversamente coperto, ma secondo la ragione di stato non era considerato di diversa qualità.