4. Pompeo e le vittorie di Cesare.
Per quanto poco Pompeo amasse e comprendesse l'iniziativa questa volta fu costretto ad uscire dalla sua passività per la sua mutata situazione di fronte a Clodio ed a Cesare. La fastidiosa e vergognosa situazione in cui Clodio l'aveva ridotto, doveva a lungo andare eccitare all'odio ed all'ira persino la sua pigra natura. Ma molto più importante fu il cambiamento avvenuto ne' suoi rapporti con Cesare.
Se nell'autorità assuntasi, uno dei due autocrati, Pompeo, aveva interamente fallita la sua missione, Cesare aveva saputo adoperare la sua al di sopra di tutte le previsioni, e di tutti i timori. Senza darsi pena di chiedere il permesso, Cesare aveva raddoppiato il suo esercito colle leve ordinate nella sua provincia meridionale abitata per la maggior parte da cittadini romani; con esso aveva varcato le Alpi invece di tener d'occhio Roma dall'alta Italia, aveva soffocata un'incipiente nuova invasione cimbrica e nello spazio di due anni (696-697 = 58-57) aveva spinto le armi romane fino al Reno e al canale della Manica.
Di fronte a questi fatti doveva cessare persino la tattica degli aristocratici di tutto ignorare e di tutto impicciolire. L'uomo schernito così spesso come un effeminato era divenuto l'idolo dell'esercito, il festeggiato e vittorioso eroe, i cui giovani allori ecclissavano quegli appassiti di Pompeo, e al quale persino il senato concedeva fin dal 697 = 57 gli onori che si solevano accordare dopo le guerre felicemente combattute, ed in maggior copia di quello che mai avesse fatto per Pompeo.
Di fronte all'antico suo aiutante Pompeo si trovava appunto come questi si era trovato di fronte a lui dopo le leggi gabinio-manilie. Ora Cesare era l'eroe del giorno ed il padrone del più forte esercito romano; Pompeo un ex-generale altre volte famoso.
Veramente tra suocero e genero non si era ancora verificata alcuna collisione ed i loro rapporti esterni non erano stati turbati; ma ogni unione politica è sciolta internamente se si scompone essenzialmente la proporzione delle forze degli interessati. Se la controversia con Clodio non era che noiosa, esisteva nella cambiata posizione di Cesare un gravissimo pericolo per Pompeo: appunto come una volta Cesare ed i suoi alleati erano stati obbligati di cercare un appoggio militare contro Pompeo, così questi era ora obbligato di cercarne uno contro Cesare, e abbandonando la sua inerzia presentarsi candidato per una carica straordinaria che lo mettesse in grado di stare vicino al luogotenente delle due Gallie con eguali e possibilmente maggiori poteri. Come la sua posizione, così la sua tattica fu appunto quella seguìta da Cesare durante la guerra mitridatica. Per pareggiare il potere militare dell'avversario, superiore, ma ancora lontano, ottenendo un eguale comando, Pompeo aveva bisogno anzitutto della macchina del governo ufficiale.
Un anno e mezzo prima questo era stato senza limiti a sua disposizione. Gli autocrati dominavano ancora lo stato, tanto per mezzo dei comizi, che obbedivano loro ciecamente, come ai padroni delle piazze, quanto per mezzo del senato da Cesare energicamente dominato col terrore; quale rappresentante della coalizione in Roma e capo riconosciuto di essa, Pompeo avrebbe indubitatamente ottenuto tanto dal senato come dalla borghesia, qualunque soluzione avesse desiderato, fosse anche stata contro l'interesse di Cesare. Ma la poco abile contesa avuta con Clodio aveva fatto perdere a Pompeo la supremazia della piazza, e non doveva quindi nemmeno pensare di vedere appoggiata dall'assemblea popolare una proposta in suo favore.
Non così sfavorevoli erano le sue faccende in senato; ma qui ancora era cosa dubbia, se dopo questa lunga e fatale inerzia Pompeo tenesse abbastanza ferme le redini della maggioranza da ottenerne un senato-consulto conforme al suo desiderio.