17.I capitalisti e la pubblica opinione.
Ma, sopra ogni altra cosa, era la massima immoralità, sempre inerente al commercio del denaro, quella che rodeva il midollo della società e della repubblica, sostituendo un assoluto egoismo all'amore dei propri simili e della patria.
La parte migliore della nazione sentiva vivamente qual seme di corruzione si nascondesse in questa speculazione; e l'odio istintivo della moltitudine e l'avversione dell'assennato uomo di stato si pronunciavano contro gli usurai, da lungo tempo condannati indarno dalle leggi. In una commedia di questo tempo si legge: «Voialtri usurai siete veramente da me considerati della stessa stoffa dei lenoni; se questi fanno al buio i loro affari, voi altri li fate in piazza; essi nei bordelli, voi dilaniate la gente cogl'interessi. Numerosi leggi i cittadini hanno fatto per voi; voi appena fatte, le violate; una scappatoia è tosto trovata. Voi considerate le leggi come l'acqua bollente che si va raffreddando a poco a poco» (Plauto, Curculio).
Con maggiore energia del poeta comico, si esprime Catone, capo del partito delle riforme. Nella prefazione al suo trattato sull'agricoltura egli dice: «Prestare denaro ad interesse è cosa profittevole sotto più aspetti, ma non è onorevole. I nostri padri hanno quindi disposto, con legge scritta, che il ladro fosse condannato a restituire il doppio della somma rubata, e il quadruplo l'usuraio; onde si può dedurre che l'usuraio fosse considerato peggiore cittadino del ladro».
Egli dice altrove, che non è grande la differenza tra un usuraio ed un assassino, e si deve convenire che le sue azioni corrispondevano alle sue massime. Difatti, come governatore della Sardegna, egli amministrò così severamente la giustizia, da cacciare addirittura dall'isola i banchieri romani.
Nella preponderante sua maggioranza il ceto dei signori, che reggeva lo stato, vedeva, in generale, con avversione, gli atti degli speculatori, e non solo si conduceva nelle province con maggiore onestà e onoratezza di questi uomini di finanza, ma spesso metteva un argine ai loro abusi; senonchè in grazia dei frequenti cambiamenti dei supremi magistrati romani e dell'inevitabile diversità del modo di amministrare la giustizia, riuscivano spesso vani gli sforzi di porvi un freno.