9. Guerra marittima e passaggio in Asia.
Una guerra molto più seria si preparava nell'Asia, guerra che doveva riuscire ai Romani ancor più scabrosa non tanto per il nemico quanto per la considerevole distanza e per le incerte comunicazioni colla patria, e che pure, considerata la cieca ostinazione d'Antioco, non poteva essere terminata se non assalendo il nemico nel proprio paese.
Si trattava, prima di tutto, di assicurare le comunicazioni marittime.
La flotta romana, che durante la campagna di Grecia aveva avuto l'incarico d'interrompere le comunicazioni del nemico fra la Grecia e l'Asia minore, ed alla quale, all'epoca della battaglia delle Termopili, era riuscito di fermare presso Andro un grosso convoglio proveniente dall'Asia, s'era, d'allora in poi, occupata a disporre l'occorrente per il passaggio delle truppe romane in Asia nell'anno seguente e, prima di tutto, a scacciare la flotta nemica dal mar Egeo.
Questa si trovava nel porto di Cisso, nella costa meridionale della lingua di terra che dalla Jonia si estende verso Chio; là fu raggiunta dalla flotta romana composta di settantacinque vascelli romani a ponte, ventiquattro di Pergamo e sei cartaginesi, comandata da Gaio Livio.
L'ammiraglio siro Polissenida, un emigrato rodiota, non aveva da contrapporle che settanta vascelli a ponte; ma siccome la flotta romana attendeva la flotta dei Rodioti, Polissenida, il quale faceva grande assegnamento sulla maggior bravura delle navi di Tiro e di Sidone, si affrettò ad accettar battaglia.
Sulle prime gli Asiatici calarono a fondo una delle navi cartaginesi; ma quando si venne all'arrembaggio prevalse il valore dei Romani, e gli Asiatici dovettero solo alla velocità dei loro rematori e alla eccellenza delle loro vele, se perdettero soltanto ventitre vascelli.
Mentre la flotta romana inseguiva le navi fuggenti le si unirono venticinque vascelli rodioti, per cui la superiorità delle forze romane, in quelle acque, si fece doppiamente decisiva.
La flotta nemica si tenne, da allora, tranquilla nel porto d'Efeso, e, non avendo potuto accettare una seconda battaglia, la flotta romano-federale si sciolse durante l'inverno. Le navi romane si recarono nel porto di Cane non lungi da Pergamo.
Dalle due parti si sollecitarono durante l'inverno i preparativi per la prossima campagna. I Romani tentarono di trarre dalla loro parte i Greci dell'Asia minore: Smirne, che aveva costantemente respinto tutti i tentativi fatti dal re per impossessarsene, accolse i Romani a braccia aperte, ed il partito romano divenne preponderante anche in Samo, Chio, Eritrea, Clazomene, Focea, Cuma e altrove.
Antioco era risoluto a impedire, per quanto fosse possibile, il passaggio dei Romani in Asia; a tale scopo egli andava facendo formidabili preparativi in mare. Polissenide ebbe incarico di allestire e di alimentare la flotta stazionante in Efeso, ed Annibale ebbe quello di approntarne una nuova nella Licia, nella Siria e nella Fenicia, mentre Antioco raccoglieva nell'Asia minore un formidabile esercito da tutti i paesi del suo vasto regno.
L'anno dopo (564=190) la flotta romana riprese per tempo le operazioni.
Gaio Livio ordinò che la flotta rodiota, composta di trentasei vele, allestita di tutto punto sorvegliasse la flotta nemica che trovavasi all'ancora all'altezza di Efeso, e partì col maggior numero di vascelli romani e pergameni alla volta dell'Ellesponto, per predisporre, previa l'occupazione di quelle fortezze, quanto necessario ad effettuare il meditato passaggio dell'esercito.
Sesto era già stata occupata, e Abido ridotta agli estremi, quando la notizia della sconfitta della flotta rodiota lo decise a ritornare.
Il navarca rodiota Pansistrato, ingannato dalle promesse dei suoi compatriotti di volersi staccare da Antioco, si era lasciato sorprendere nel porto di Samo; era caduto egli stesso, e tutte le sue navi, meno cinque di Rodi e due di Coo, erano state distrutte.
Samo, Focea, Cuma, udita questa notizia, passarono dalla parte di Seleuco, il quale aveva, per conto di suo padre, in quelle regioni, il supremo comando delle forze di terra. Quando poi la flotta romana, proveniente parte da Cane e parte dall'Ellesponto, avanzatasi verso Samo, fu, dopo breve tempo, raggiunta in quelle acque da venti nuovi vascelli romani, Polissenida si vide costretto a chiudersi di nuovo nel porto di Efeso.
Ma siccome egli si rifiutava di accettare la offertagli battaglia navale, e, considerato lo scarso numero dell'esercito romano, non si poteva neppure pensare ad un attacco dalla parte di terra, così anche la flotta romana null'altro poteva fare che prendere egualmente posizione presso Samo.
Una divisione della stessa fece vela per Patara, sulla costa licia, coll'intento di liberare i Rodioti dalle moleste aggressioni che da quel lato li minacciavano, e specialmente per non lasciar penetrare nel mar Egeo la flotta che Annibale vi doveva introdurre.
La squadra diretta a Patara non avendo raggiunto lo scopo, il nuovo ammiraglio Lucio Emilio Regillo, giunto da Roma con venti navi da guerra, rilevato presso Samo Gaio Livio nel comando, fu preso da tanto sdegno, che vi si diresse egli stesso con tutta la flotta; durante il viaggio i suoi ufficiali riuscirono con grande stento a fargli comprendere che quel che importava non era la conquista di Patara, ma la signoria del mar Egeo, e lo decisero così a far ritorno a Samo.
Seleuco aveva, nel frattempo, incominciato sul continente dell'Asia minore l'assedio di Pergamo, mentre Antioco, col suo grande esercito, devastava il territorio di quella città ed i possedimenti dei Mitileni in terra ferma; essi speravano di farla finita con gli odiosi Attalidi prima che arrivassero i soccorsi rromani.
La flotta romana si recò ad Elea, nel porto di Adramizio, per soccorrere l'alleato; senonchè, l'ammiraglio mancando di truppe, non riuscì a nulla.
Pergamo sembrava perduta; ma l'indolenza e la negligenza con cui era diretto l'assedio misero Eumene in grado d'introdurre nella città truppe ausiliarie achee comandate da Diofane, le cui temerarie e fortunate sortite costrinsero i mercenari galli, ai quali Antioco aveva affidato la cura dell'assedio, a levarlo.
Nè miglior esito ebbero i progetti di Antioco nelle acque meridionali. La flotta apparecchiata e condotta da Annibale, dopo esser stata trattenuta dai venti costanti d'occidente, arrivò finalmente nel mar Egeo; ma alla foce dell'Eurimedonte, dinanzi ad Aspendo, nella Pamfilia, si incontrò in una squadra rodiota capitanata da Eudamo, e nella battaglia impegnatasi tra le due flotte l'eccellenza delle navi rodiote ed il valore degli ufficiali prevalsero sulla tattica di Annibale e sul maggior numero delle sue navi, e ne riportarono vittoria.
Questa fu la prima e nello stesso tempo l'ultima battaglia navale combattuta dal grande cartaginese contro Roma.
La vittoriosa flotta rodiota si ancorò quindi presso Patara e impedì la progettata unione delle due flotte asiatiche.
La flotta romano-rodiota che stanziava nel mare Egeo presso Samo, indebolita per la spedizione delle navi pergamene nell'Ellesponto a sostenere l'esercito appena arrivatovi, fu a sua volta attaccata da quella di Polissenida, che contava allora nove vele di più dell'avversario.
Il 23 dicembre del calendario non riformato od alla fine d'agosto dello stesso anno 564=190 secondo quello riformato, si venne a battaglia al capo Mionneso tra Ceo e Colofone; i Romani ruppero la linea nemica e ne aggirarono completamente l'ala sinistra cosicchè quarantadue navi furono parte prese, parte affondate.
Una iscrizione in versi saturnii, nel tempio dedicato ai geni del mare, eretto nel campo Marzio a ricordo di questa vittoria, ricordò ai Romani, per molti secoli, come in presenza del re Antioco e di tutto il suo esercito, fosse stata battuta la flotta degli asiatici, e come i Romani «componessero il grande dissidio e assoggettassero i re».
Da allora in poi le navi nemiche non osarono più mostrarsi in alto mare e non tentarono più d'impedire il passaggio dell'esercito romano.