36. Congiure e insurrezioni.
L'invasione germanica era stata respinta e i Celti continentali erano stati soggiogati. Ma avviene spesso che sia più facile sottomettere una nazione libera che non tenerne in ubbidienza una soggiogata.
La rivalità per l'egemonia, per la quale, più che per le armi romane, soccombette la nazione celtica, era stata tolta di mezzo colla conquista, perchè il conquistatore pretendeva l'egemonia per proprio conto.
Gli interessi particolari tacevano; sotto la pressione comune i Celti si sentivano ancora un popolo, e il pregio immenso che si era posseduto ed era stato perduto con indifferenza, la libertà e la nazionalità, veniva adesso, benchè troppo tardi, manifestato dalla immensa brama di riacquistarlo. Ma era forse troppo tardi! Pieni d'ira e di vergogna essi dovevano confessare che una nazione, che contava almeno un milione di uomini atti a portare le armi, una nazione di antica e ben meritata fama militare si era lasciato imporre il giogo da 50.000 Romani al più.
L'assoggettamento della federazione della media Gallia senza che essa avesse tentata la minima opposizione, quello della lega belga che non aveva fatto di più che mostrare la volontà di combattere; e all'opposto l'eroica caduta dei Nervi e dei Veneti, la prudente e felice resistenza dei Morini e dei Britanni sotto Cassivellauno, tutto ciò che isolatamente si era trascurato e si era fatto, ciò che era andato a male, e ciò che era stato raggiunto, spronava gli animi dei patriotti a fare dei nuovi tentativi possibilmente con maggior armonia e con maggior effetto.
Regnava specialmente fra la nobiltà celtica un fermento che minacciava di voler prorompere ad ogni istante in una grande sollevazione generale. Già prima della seconda discesa nella Britannia, avvenuta nella primavera del 700 = 54, Cesare aveva creduto necessario recarsi in persona presso i Treviriani, i quali dopo essersi compromessi nella battaglia dei Nervi nel 697 = 57 non erano più comparsi alle diete generali ed avevano contratto coi Germani d'oltre Reno relazioni più che sospette.
Allora Cesare s'era contentato di condurre con sè nella Britannia, col contingente di cavalleria dei Treviriani, i più ragguardevoli uomini del partito patriottico e specialmente Induziomaro; egli fece quanto era possibile per non accorgersi della congiura perchè le misure di rigore non la facessero volgere in insurrezione.
Ma quando l'eduo Dumnorige, che di nome era addetto all'esercito destinato a far vela per la Britannia come ufficiale di cavalleria, ma che in sostanza vi era come ostaggio, rifiutò assolutamente d'imbarcarsi e invece se ne andò a casa, Cesare non potè fare a meno di dichiararlo disertore. Lo fece inseguire da un distaccamento, ed essendosi egli difeso, fu fatto a pezzi (700 = 54).
La notizia che il più valoroso cavaliere del più potente e meno dipendente distretto celtico era stato ucciso dai Romani, fu come un colpo di fulmine per tutta la nobiltà celtica; tutti quelli che erano animati dagli stessi sentimenti – e di questi si componeva la immensa maggioranza – vedevano in quella catastrofe l'immagine di quanto loro sovrastava.
Se il patriottismo e la disperazione avevano spinto i capi della nobiltà celtica a congiurare, ora il timore e la necessità della propria difesa decisero i congiurati ad insorgere.
Nell'inverno del 700-701 = 54-53 ad eccezione di una legione che stanziava nella Bretagna e d'un'altra inviata nell'irrequietissimo distretto dei Carnuti (presso Chartres), tutto l'esercito romano composto di sei legioni si trovava accampato sul territorio belga.
La scarsezza delle provvigioni di frumento aveva suggerito a Cesare, contro la sua abitudine, di separare le sue truppe e di accamparle nei sei distretti dei Bellovaci, degli Ambiani, dei Morini, dei Nervi, dei Remi e degli Eburoni. Il campo più distante di tutti, posto verso oriente nel territorio degli Eburoni, probabilmente non lungi dall'Aduatuca interna (l'odierna Tongres), il più forte, formato da una legione comandata da uno dei più distinti aiutanti di Cesare, Quinto Titurio Sabino, e da molti distaccamenti capitanati dal valoroso Lucio Aurunculeio Cotta[19], della complessiva forza di una mezza legione, si vide repentinamente circondato dalla leva in massa degli Eburoni comandati dai re Ambiorige e Catuvolco.
L'assalto fu così inaspettato che i soldati, che in quel momento erano assenti dal campo, non poterono essere richiamati e furono presi dai nemici. Però il pericolo non era così grave, poichè vi erano provviste sufficienti e l'attacco tentato dagli Eburoni era rimasto senza effetto e si era infranto impotente contro le trincee romane.
Ma il re Ambiorige fece dire al comandante romano che tutti i campi dei Romani nella Gallia dovevano essere nello stesso giorno assaliti e che i Romani erano irremissibilmente perduti, se i corpi staccati non si concentravano con tutta celerità; che Sabino dovesse tanto più affrettarsi a partire, in quanto anche i Germani d'oltre Reno erano già in marcia; ch'egli mosso dall'amicizia per i Romani, gli assicurava la libera partenza sino al più vicino campo romano distante solo due giornate di marcia.
Queste notizie sembravano contenere qualche cosa di vero; che il piccolo distretto degli Eburoni particolarmente favorito dai Romani avesse da solo osato d'intraprendere l'attacco era infatti incredibile, e considerata la difficoltà di mettersi in comunicazione con gli altri campi posti a notevole distanza, il pericolo di vedersi assaliti e distrutti alla spicciolata da tutta la massa degli insorti era troppo grave per essere assolutamente disprezzato; tuttavia non si poteva menomamente dubitare, che tanto l'onore quanto la politica imponessero di respingere la capitolazione offerta dal nemico e di rimanere al posto assegnato.
Anche nel consiglio di guerra parecchie voci si elevarono in favore di tale opinione e specialmente quella rispettabile di Lucio Aurunculeio Cotta. Ciò malgrado il comandante decise di accettare la proposta di Ambiorige.
Le truppe romane partirono quindi il giorno dopo; ma alla distanza di una mezza lega dal campo si trovarono in una angusta valle circondate dagli Eburoni, sbarrata ogni via d'uscita. Esse tentarono di aprirsi il passaggio colle armi; ma gli Eburoni non vollero cimentarsi in una mischia e si accontentarono di saettare gli ammassati Romani dalle inattaccabili loro posizioni.
Fuori di sè, cercando salvezza contro il tradimento presso il traditore, Sabino chiese un abboccamento con Ambiorige; gli fu accordato, ed egli e gli ufficiali del suo seguito furono dapprima disarmati e poscia uccisi. Dopo la morte del comandante gli Eburoni si gettarono da ogni parte sugli spossati e disperati Romani e ruppero le loro fila; i più, e fra questi Cotta, che era già stato ferito prima, trovarono la morte in questo assalto; una piccola parte, che riuscì a tornare nel campo abbandonato, si diede spontaneamente la morte nella notte seguente. La colonna dell'esercito romano fu distrutta.