27. La distruzione del Sannio.
Per quel che riguarda i Sanniti il dittatore dichiarò che Roma non avrebbe pace finchè il Sannio esistesse, e che perciò il nome sannitico doveva venire distrutto dalla terra, e siccome egli dimostrò la verità di queste parole in terribile modo ai prigionieri fatti davanti a Roma ed in Preneste, pare che egli abbia pure intrapreso una spedizione devastatrice per quella regione, espugnata Isernia (674? = 80) e trasformata così la contrada fino allora fiorente e popolata in un deserto com'è ancora al giorno d'oggi. Così pure nell'Umbria, Todi fu espugnata da Marco Crasso.
Più a lungo si difesero nell'Etruria Populonia e specialmente l'inespugnabile Volterra, che raccolse intorno a sè un esercito di quattro legioni dai resti di quello battuto e sostenne un assedio di due anni condotto dapprima personalmente da Silla, poi dall'ex pretore Caio Carbone, fratello del console democratico, finchè finalmente nel terzo anno, dopo la battaglia alla porta Collina (675 = 79) la legione capitolò col patto di libera uscita. Ma in quell'orribile tempo non valevano nè il patto di guerra, nè la disciplina; i soldati gridarono al tradimento e lapidarono il loro troppo pieghevole generale; una schiera di cavalleria spedita dal governo romano massacrò la guarnigione uscente conforme alla capitolazione.
L'esercito vittorioso fu distribuito in Italia; tutti i luoghi malsicuri forniti[8] di forti guarnigioni e sotto la mano ferrea degli ufficiali di Silla languirono lentamente gli ultimi moti dell'opposizione rivoluzionaria e nazionale.