7. Pompeo mendica al senato un comando.
Le cose erano giunte al punto da indurre Pompeo ed il partito repubblicano ad una intesa; se un tale avvicinamento dovesse verificarsi e come in generale la situazione dei due autocrati e dell'aristocrazia, resasi assolutamente fosca, dovesse stabilirsi d'allora in avanti, tuttociò doveva decidersi nell'autunno del 697 = 57, quando Pompeo fece la richiesta al senato di affidargli una carica straordinaria.
Egli si riallacciò a ciò che undici anni prima aveva fondato il suo potere: al prezzo del pane nella capitale, che appunto allora aveva raggiunto come prima della legge gabinia una misura oppressiva. Se questa fosse stata ottenuta dietro un'astuta macchinazione, che Clodio attribuiva ora a Pompeo, ora a Cicerone, mentre essi alla loro volta ne incolpavano Clodio, non si saprebbe precisare. La pirateria, che non era cessata, il pubblico tesoro esausto e la trascurata e irregolare sorveglianza del trasporto dei cereali per parte del governo bastavano già per produrre la carestia del pane in questa popolatissima città, ridotta quasi interamente all'importazione di cereali d'oltre mare, anche senza ricorrere alle incette di grano per scopi politici.
Pompeo voleva che il senato gli affidasse la sovraintendenza sulle provvigioni dei cereali di tutto lo stato romano, e a questo scopo la facoltà illimitata di disporre del pubblico tesoro, come pure dell'esercito di terra e della flotta, e al tempo stesso un potere che si estendesse a tutto lo stato romano non solo, ma innanzi al quale cessasse anche quello di cui erano investiti i governatori delle province; in una parola, egli pensava di organizzare un'edizione migliorata della legge gabinia, alla quale poi si sarebbe naturalmente aggiunta la direzione della imminente guerra egiziana, appunto come era avvenuto per la guerra mitridatica in seguito alla spedizione contro i pirati.
Per quanto il partito dell'opposizione contro i nuovi dinasti avesse guadagnato terreno negli ultimi anni, quando quest'affare fu messo in discussione in senato nel mese di settembre 697 = 57, la maggioranza del senato era però ancora sotto l'incubo dello spavento causatole da Cesare. Essa adottò in massima, docilmente la proposta, e ciò dietro suggerimento di Cicerone, che in questo frangente doveva dare, e diede di fatto, la prima prova della pieghevolezza appresa nell'esilio.
Ma nello stabilire le modalità, il progetto originale proposto dal tribuno del popolo Caio Messio subì notevolissimi emendamenti. Pompeo non ottenne nè la facoltà di disporre liberamente delle casse dello stato, nè gli furono assegnate apposite legioni e navi, nè un potere superiore a quello dei governatori, ma furono solo messe a sua disposizione importanti somme allo scopo di ordinare degli approvvigionamenti per la capitale, assegnandogli quindici aiutanti, e concedendogli pieno potere proconsolare per cinque anni in tutti gli affari di approvvigionamento per tutto il territorio dello stato romano, e si fece sanzionare questo decreto dalla borghesia.
Non pochi motivi suggerirono questi emendamenti, che somigliavano a un rigetto del piano proposto originariamente: un riguardo verso Cesare, vicino al quale appunto i più timidi esitavano a porre nella Gallia un collega non solo pari, ma a lui superiore; la celata opposizione di Crasso, nemico ereditario di Pompeo e suo collega a malincuore, a cui Pompeo stesso attribuì o volle far credere di attribuire specialmente il naufragio del suo progetto; l'antipatia dell'opposizione repubblicana nel senato per qualsiasi decisione tendente ad accrescere di fatto o soltanto di nome il potere degli autocrati; infine e specialmente l'inettitudine di Pompeo, il quale dopo essere stato costretto ad agire, non poteva risolversi da sè stesso, ma come al solito faceva propalare la vera sua intenzione dai suoi amici quasi in incognito, dichiarando poi colla notoria sua modestia, che si sarebbe accontentato anche di meno.
Non deve perciò destare meraviglia se lo si prese in parola e se gli si concesse il meno che si potè. Pompeo era tuttavia felice di avere trovato una seria occupazione e anzitutto un buon pretesto per allontanarsi dalla capitale; e gli venne anche fatto, certamente non senza che le province ne risentissero un grave contraccolpo, di procurare ad essa provvigioni abbondanti ed a prezzi convenienti.
Ma non aveva raggiunto il suo vero intento; il titolo di proconsole, che aveva diritto di portare in tutte le province, non aveva alcun significato sinchè egli non disponesse di truppe proprie. Con tale intento egli fece pervenire subito dopo al senato la seconda proposta, perchè gli fosse dato incarico di ricondurre il re d'Egitto nel proprio paese, da cui era stato scacciato, servendosi, all'occorrenza, della forza delle armi.
Ma quanto più manifesto si faceva che egli aveva urgente bisogno del senato, tanto minor riguardo e condiscendenza mostravano i senatori per le sue richieste.
Anzitutto fu scoperto negli oracoli sibillini che era cosa empia inviare un esercito armato in Egitto; per cui il pio senato decise quasi concordemente di astenersi dall'intervento armato. Pompeo era ormai così mortificato che avrebbe assunto la sua missione anche senza esercito; ma nella incorreggibile sua riservatezza egli fece fare anche questa dichiarazione soltanto dai suoi amici e parlò e votò per l'invio di un altro senatore in sua vece.
Naturalmente il senato respinse quella proposta che metteva sacrilegamente a repentaglio una vita così preziosa alla patria, e la fine di quelle eterne trattative fu che il senato risolvette di non intervenire negli affari dell'Egitto (gennaio 698 = 56).