6 Processo privato.
Se un cittadino privato portava invece querela davanti al re per la violenza usatagli nella proprietà (vindiciae) o se non gli veniva restituito il prestito, si trattava prima di tutto di accertare se fossero necessarie le prove per stabilire il fatto, oppure se il fatto fosse già per se stesso incontestabile: il che non si ammetteva mai per sola presunzione nei processi di proprietà, mentre invece nei processi riguardanti un prestito, l'accertamento del fatto era facile ad ottenersi col mezzo dei testimoni conforme le norme giuridiche.
Si stabiliva la consistenza del fatto per mezzo di una scommessa, in cui ogni parte faceva un deposito (sacramentum) per il caso di soccombenza.
In affari che importassero il valore di oltre dieci buoi il deposito era di cinque buoi, in affari di minore importanza era di cinque pecore.
Il giudice decideva poi chi dei due avesse guadagnata la scommessa, ed il deposito delle parti soccombenti era devoluto ai sacerdoti e serviva pei pubblici sacrifici. Colui che aveva avuto torto ed aveva lasciato trascorrere trenta giorni senza soddisfare l'avversario, e colui che fin dal principio era obbligato al pagamento, quindi di solito il debitore, se non aveva testimoni della fatta restituzione, soggiaceva al mandato d'arresto mediante presura (manus iniectio); e il creditore lo acciuffava ovunque lo trovasse e lo trascinava dinanzi al tribunale unicamente per obbligarlo a soddisfare il debito riconosciuto. L'arrestato non poteva difendersi da sè; un terzo poteva bensì venire in sua difesa e dichiarare questo atto di violenza come illegale (vindex) e allora la procedura veniva sospesa; ma questa interferenza rendeva personalmente responsabile chi s'era intromesso, per cui si esigeva che, per individui domiciliati, soltanto altri domiciliati potessero introdursi come vindici. Se non seguiva il pagamento e non si presentava alcun garante, il re aggiudicava il debitore al creditore in modo che questi lo poteva condurre seco e tenerlo come uno schiavo. Se dopo ciò erano passati altri sessanta giorni, e il debitore entro questo spazio di tempo era stato esposto al mercato tre volte e offerto all'incanto per vedere se qualcuno se ne muovesse a pietà, senza che simile tentativo avesse avuto alcun successo, allora i creditori avevano il diritto di uccidere il debitore e di dividere tra loro il suo corpo, o anche di venderlo come schiavo fuori del paese insieme con i suoi figli e con i suoi averi, od anche di tenerlo presso di loro come schiavo, giacchè in conformità del diritto romano egli non poteva divenire vero schiavo finchè si trovava nel territorio del comune.
Così la proprietà e gli averi del cittadino romano erano difesi contro i ladri e i danneggiatori, contro gli ingiusti detentori e i debitori insolvibili, con inesorabile severità, pari a quella con la quale era perseguitato il possessore illegale e il debitore insolvente.