13. Insurrezione di Lepido.
Lepido dapprima fu della stessa idea. Egli respinse, non meno che il suo collega Catulo, la proposta di ridare ai tribuni del popolo gli antichi privilegi loro tolti.
Ma la distribuzione del grano proposta da Gracco fu di nuovo limitatamente ristabilita. Quindi pare che non tutti, come stabiliva la legge sempronia, ma solo un numero determinato – probabilmente 40.000 – fra i cittadini più poveri ricevessero la stessa distribuzione fissata da Gracco, cioè cinque moggi ogni mese al prezzo di sei assi e un terzo (circa 30 cent.), disposizione che costava all'erario una perdita annua di almeno 11.250.000 lire[6].
L'opposizione, naturalmente poco soddisfatta e decisamente incoraggiata da tale arrendevolezza, si mostrava nella capitale tanto più baldanzosa e violenta; e nell'Etruria, ove era la vera sede di tutte le insurrezioni italiche dei proletari, era già scoppiata la guerra cittadina: gli espropriati fiesolani ripresero a mano armata il possesso dei loro beni perduti, e molti fra i veterani di Silla ivi stabiliti perdettero la vita nella mischia.
A questa notizia il senato decise d'inviare colà due consoli per raccogliere truppe e per reprimere la sollevazione[7].
Non era possibile agire più sconsideratamente. Facendo rivivere la legge frumentaria il senato aveva dato all'insurrezione una prova della sua debolezza e dei suoi timori; per evitare il baccano nelle vie esso assegnò un esercito al capo notorio dell'insurrezione; e se i due consoli furono impegnati col più solenne giuramento che si può immaginare a non volgere l'uno contro l'altro le armi loro affidate, pure era necessaria l'ostinazione diabolica delle coscienze oligarchiche per erigere una tale bolla di sapone contro la insurrezione che minacciava.
Lepido armava nell'Etruria, naturalmente non per il senato ma per l'insurrezione, dichiarando con ischerno che il giuramento prestato non lo teneva vincolato che per l'anno in corso.
Il senato per determinarlo a ritornare, ricorse all'espediente degli oracoli e lo incaricò della direzione delle imminenti elezioni consolari; ma Lepido fece il sordo, e mentre i messaggeri andavano e venivano e l'anno passava in tentativi di accomodamento, le sue schiere si accrebbero tanto da formare un esercito. Quando finalmente al principio dell'anno seguente (677 = 77), il senato impose a Lepido di ritornare immediatamente, il proconsole con arroganza rifiutò obbedienza, e a sua volta richiese la rinnovazione dell'antico potere tribunizio e la reintegrazione di coloro che violentemente erano stati privati dei loro diritti di cittadini e del possesso dei loro beni. Oltre ciò chiese per sè la rielezione al consolato pel corrente anno, cioè la istituzione della tirannide in forma legale. Così fu dichiarata la guerra.