23. Opposizione degli ufficiali.
Questa fu la costituzione che Lucio Cornelio Silla diede al comune di Roma. Il senato e l'ordine dei cavalieri, la borghesia ed il proletariato, gli Italici ed i provinciali, se non senza rancore l'accettarono però senza opposizione come fu loro dettata dal reggente; non così gli ufficiali di Silla.
Il carattere dell'esercito romano era interamente cambiato.
Per la riforma di Mario esso era stato riorganizzato in modo da potersi fare su di esso maggiore assegnamento che allorquando si era rifiutato di combattere sotto le mura di Numanzia; ma esso si era pure trasformato da milizia cittadina in una schiera di lanzichenecchi, sulla cui fedeltà lo stato non poteva contare e il generale vi poteva contare solo quando sapesse renderli bene attaccati alla sua persona.
La guerra civile aveva messo orribilmente in evidenza questa completa trasformazione dello spirito dell'esercito: durante la medesima sei generali erano caduti per mano de' loro soldati, Albino, Catone, Rufo, Flacco, Cinna e Caio Carbone. Silla soltanto era riuscito a dominare su questa soldatesca, ma non altrimenti che chiudendo gli occhi a tutte le sue sfrenate brutalità, come nessun generale aveva mai fatto prima di lui.
Che se perciò a lui si ascrivesse la colpa di aver guastata l'antica disciplina, l'accusa non sarebbe inesatta, ma ingiusta; egli fu il primo magistrato romano che presentandosi solo come condottiero aveva potuto adempiere il suo còmpito politico e militare.
Ma Silla non aveva accettata la dittatura militare per sottomettere lo stato alla soldatesca, sibbene per ricondurre ogni cosa, e anzitutto l'esercito e gli ufficiali, sotto il dominio dell'ordine civile.
Quando ciò fu compreso, sorse contro di lui un'opposizione nel seno del suo stesso stato maggiore.
L'oligarchia poteva esercitare la sua tirannide contro gli altri cittadini, ma sembrava insopportabile che anche i generali, che colla loro spada avevano rialzati gli abbattuti seggi senatorî, dovessero ora prestare cieca obbedienza a quello stesso senato.
E furono appunto i due generali, a cui Silla aveva accordata la maggiore confidenza, che si opposero al nuovo ordine di cose.
Gneo Pompeo, incaricato da Silla della conquista della Sicilia e dell'Africa, e da lui scelto per suo genero, dopo condotta a termine l'impresa, avendo ricevuto dal senato l'ordine di sciogliere l'esercito, vi si rifiutò e per poco non ruppe in aperta sollevazione. Quinto Ofella, alla cui incrollabile fermezza sotto Preneste era dovuto in gran parte il successo dell'ultima e difficile campagna, sollecitò il consolato in aperta opposizione al nuovo regolamento, non avendo coperto le cariche inferiori.
Con Pompeo, se non proprio ad una cordiale riconciliazione, si riuscì ad un accordo.
Silla, che conosceva abbastanza il suo uomo per non temerlo, finse di non comprendere l'insulto di Pompeo (il quale gli aveva detto in faccia che molta gente, più del sole cadente, adorava il sole nascente) e al vanaglorioso giovine concesse gli ambìti vani onori.
Se egli oppose a Pompeo la noncuranza, mostrò invece ad Ofella che egli non era l'uomo da lasciarsi imporre da' suoi generali: essendosi questi presentato in modo incostituzionale quale candidato, Silla lo fece trafiggere nel pubblico foro; indi, annunziando alla cittadinanza adunata di aver ciò ordinato egli stesso, ne disse la cagione.
Perciò l'opposizione militare contro il nuovo ordinamento fu costretta per il momento a rimanersene silenziosa, ma continuò ad esistere e fu il commentario pratico delle parole di Silla: che quanto egli faceva allora, non si sarebbe potuto fare una seconda volta.