7.Sfortunata guerra dei Romani.
Perseo non pensò a disturbare i nemici in quella difficile marcia, e si accontentò di entrare nella Perrebea occupando le fortezze più vicine. Egli attendeva i nemici ai piedi del monte Ossa, e non lungi da Larissa seguì il primo scontro tra la cavalleria e le truppe leggere d'ambe le parti.
I Romani ebbero decisamente la peggio. Coti respinse e disperse la cavalleria italica colla sua cavalleria tracica. Perseo con quella macedone la greca; i Romani ebbero 2000 fanti e 200 cavalieri uccisi; furono fatti prigionieri 600 cavalieri dei loro, ed essi dovettero stimarsi fortunati di poter passare il fiume Peneo senza molestia. Perseo approfittò della vittoria per chiedere pace alle condizioni che erano già state concesse a Filippo, disposto persino a pagare la stessa somma di danaro.
I Romani rifiutarono, poichè essi non conchiudevano mai la pace dopo una sconfitta, ed in questo caso poi la pace avrebbe naturalmente avuto per conseguenza la perdita della Grecia. Ma il meschino generale romano non sapeva attaccare e andava qua e là nella Tessalia senza operare nulla di importante.
Perseo poteva prendere l'offensiva; egli vedeva che i Romani erano mal guidati ed esitanti; la notizia che l'esercito greco aveva riportato nel primo scontro una spendida vittoria si sparse come un lampo per tutta la Grecia; un nuovo successo poteva destare un'insurrezione generale del partito dei patriotti, e, se si fosse organizzata la guerriglia, ottenere incalcolabili successi.
Perseo era un buon soldato, ma non un buon capitano come suo padre; egli era preparato ad una guerra difensiva, e, quando vide che le cose assumevano un altro aspetto, si sentì come paralizzato.
Un insignificante successo ottenuto dai Romani in un secondo scontro di cavalleria presso Falanna gli servì di pretesto, come è proprio degli uomini limitati, per ritornare al suo primo piano ed evacuare la Tessalia.
Era lo stesso che rinunciare ad ogni speranza d'insurrezione greca; d'altronde, quanto si sarebbe potuto ottenere da essa lo prova il cambiamento di parte degli Epiroti ciò malgrado verificatosi.
Da quel tempo in poi nulla d'importante si verificò nè da una parte nè dall'altra; Perseo vinse Genzio, punì i Dardani e col mezzo di Coti scacciò dalla Tracia tutti quelli che simpatizzavano per i Romani, nonchè le truppe del re di Pergamo. L'esercito romano occidentale prese alcune città illiriche e il console si dedicò a sbarazzare la Tessalia dalle guarnigioni macedoni e a garantirsi, coll'occupazione di Ambracia, dagli irrequieti Etoli e dagli Acarnani.
Ma più duramente pesò la forza romana sulle due infelici città della Beozia, che parteggiavano per Perseo; Aliarto fu presa d'assalto dal comandante della flotta romana Gaio Lucrezio, il quale ne vendè schiavi gli abitanti; Coronea ebbe dal console Crasso egual sorte, malgrado la sua capitolazione.
Mai un esercito romano aveva avuto una così cattiva disciplina come sotto questi due capitani. Essi avevano disorganizzato l'esercito in modo che anche nella seguente campagna del 584=170 il nuovo console Aulo Ostilio non potè pensare ad imprese d'importanza, tanto più che il nuovo ammiraglio Lucio Ortensio si rivelò non meno inetto e fedifrago del suo predecessore.
La flotta bordeggiava senza alcun successo in prossimità delle città del litorale tracico. L'esercito occidentale, sotto gli ordini di Appio Claudio che aveva il suo quartier generale a Licnido, nel territorio della Dassarezia, subìva una sconfitta dopo l'altra.
Dopo che una spedizione nell'interno della Macedonia era andata del tutto fallita, verso il principio dell'inverno il re assalì il console Appio colle truppe dei confini meridionali, fatte disponibili a causa della neve che aveva reso impraticabili tutti i valichi; gli tolse molto territorio e un gran numero di prigionieri, e strinse relazioni col re Genzio; gli riuscì persino di fare un tentativo d'invasione nell'Etolia, mentre Appio si lasciava battere un'altra volta nell'Epiro dalla guarnigione d'una fortezza ch'egli invano aveva stretto d'assedio.
L'armata principale fece un paio di tentativi per entrare nella Macedonia, prima varcando i monti Cambuni, poi superando i valichi della Tessalia; ma, non avendovi impiegata la necessaria energia, gli stessi tentativi furono frustrati da Perseo.
Il console si occupava principalmente della riorganizzazione dell'esercito, che infatti era oltremodo necessaria, ma richiedeva un uomo più energico e più stimato.
I congedi e i permessi erano divenuti venali, quindi le divisioni non erano mai complete; la truppa era acquartierata durante l'estate, e, come gli ufficiali rubavano in grande, così i militi rubavano in piccolo; le popolazioni amiche erano guardate con sospetto e trattate nel modo più ignominioso. Così la causa della vergognosa sconfitta presso Larissa si attribuiva al tradimento della cavalleria etolica, e se ne mandavano (cosa inaudita!) gli ufficiali a Roma per essere sottoposti ad una investigazione criminale. Così, per un falso sospetto, i Molossi nell'Epiro furono spinti a ribellarsi veramente; alle città alleate furono imposti contributi di guerra come se fossero state conquistate, e, quando esse si appellavano al senato romano, i loro cittadini erano condannati nella testa o venduti come schiavi; così avvenne in Abdera e così in Calcide.
Il senato s'intromise seriamente[2]: ordinò la liberazione degl'infelici abitanti di Coronea e di Abdera, e proibì ai funzionari romani di richiedere prestazioni dai confederati senza il suo permesso.
Gaio Lucrezio dai cittadini fu condannato unanimemente. Ma ciò non tolse che il risultato di queste due campagne fosse militarmente nullo e politicamente disonorevole per i Romani, i cui immensi successi in oriente erano in gran parte dovuti alla severità dei loro costumi ed all'energia ch'essi avevano opposto agli scandali dell'amministrazione greca.
Se in luogo di Perseo avesse avuto il comando Filippo, questa guerra avrebbe probabilmente avuto principio colla distruzione dell'esercito romano e colla defezione della massima parte degli Elleni; ma Roma aveva sempre la fortuna di vedersi superata nei propri errori dagli errori dei suoi avversari. Perseo si accontentò di fortificarsi nella Macedonia, che a mezzodì e a ponente è difesa da monti, quasi come in una città stretta d'assedio.