20. Dramma nazionale.
Per vie remote e con vento meno favorevole veleggiava un più audace navigatore verso un più alto destino.
Nevio non solo adattava al pari di Ennio, sebbene con molto minor successo, tragedie greche alla scena romana; ma tentò di creare un vero dramma nazionale (fabula praetextata).
Per questo non v'erano ostacoli esteriori da superare; egli introdusse sulla scena del suo paese soggetti tratti dalla leggenda romana e dalla storia patria contemporanea.
Di questo genere sono la sua «Educazione di Romolo e Remo» ossia il «Lupo» in cui si vede comparire sulla scena Amulio re d'Alba, ed il suo Clastidium, in cui si celebrava la vittoria di Marcello sui Celti 532=222.
Seguendo il suo esempio, anche Ennio descrisse nell'«Ambracia», qual testimonio oculare, l'assedio di quella città condotto dal suo protettore Marco Fulvio Nobiliore (565=189). Ma ciò nonostante, scarso rimase il numero dei drammi nazionali e questa maniera di composizioni scomparve di nuovo rapidamente dal teatro; la sterile leggenda e la squallida storia di Roma non potevano sostenere, a lungo andare, la concorrenza coi cicli delle leggende greche.
Noi non siamo più in grado di giudicare il valore poetico di questi drammi, ma si deve tener conto dell'invenzione poetica in generale, nella letteratura romana pochi sono i tratti di genialità uguali alla creazione di un dramma nazionale romano.
Solo i tragici greci dei tempi più antichi, che si sentivano ancora più vicini agli dei, solo poeti come Frinico ed Eschilo avevano avuto il coraggio di portare sulla scena, accanto ai fasti del tempo leggendario, anche quelli che avevano veduto e a cui avevano preso parte, e se v'era un luogo, dove appaia vivo a noi ciò che fossero le guerre puniche, fu questo, in cui il poeta, il quale, come Eschilo, aveva combattuto egli stesso le battaglie che cantava, conduceva i re e i consoli di Roma su quella scena medesima, sulla quale sino allora si erano abituati a vedere solamente dei ed eroi.
Poca importanza avevano la poesia lirica, didascalica ed epigrammatica.
Le cantate religiose festive, delle quali gli annali di questo tempo nominano l'autore, e le inscrizioni monumentali dei templi e delle tombe, per le quali fu conservato il metro saturnio, possono appena considerarsi appartenenti alla letteratura.
In ogni modo, fin da Nevio, i minori generi di poesia erano compresi, d'ordinario, sotto il nome di satura, nome che in origine era dato all'antico poema scenico senza azione, che dopo Livio il dramma greco aveva bandito dalla scena; che poi nella poesia recitativa corrispondeva quasi ai nostri «poemi miscellanei» e come questi non indicava propriamente una determinata specie e una determinata maniera artistica, ma soltanto poemi d'argomento vago, per lo più soggettivo, e di forma nè epica, nè drammatica.
Oltre al poema «dei costumi» di Catone, di cui parleremo, che forse era scritto in versi saturni, ed era come una continuazione dei primi tentativi per trovare una poesia didascalica nazionale, appartengono a questa categoria i minori poemi, che Ennio, il quale in questo genere di produzioni era assai fecondo, pubblicò parte nella collezione delle Sature, parte separatamente; brevi racconti poetici tratti dalla storia patria leggendaria od anche dalla contemporanea, traduzioni del romanzo religioso di Evemero, delle poesie fisico-filosofiche che circolavano sotto il nome di Epicarmo, della gastronomia di Archestrato da Gela, poeta della più alta arte culinaria, oltre che di un dialogo tra la vita e la morte; favole d'Esopo, una collezione di sentenze morali, scherzi di parodie e epigrammi; cose di poco conto, ma caratteristiche per la varietà loro e per la tendenza a diffondere nuove idee sotto nuove forme, giacchè il poeta in questo campo, dove non giungeva l'occhio della censura, s'abbandonava con piena libertà ai suoi istinti.