11. Cronisti romani.
A questo modo grandioso di concepire e di trattare la storia romana per opera d'uno straniero fa singolare contrasto la contemporanea letteratura storica indigena.
All'inizio di questo periodo furono ancora scritte alcune cronache in lingua greca, come quella accennata di Aulo Postumio (console del 603 = 151), piene di cattiva grammatica, e quelle di Caio Acilio (morto in età avanzatissima verso il 612 = 142); tuttavia la lingua latina ottenne, in parte per l'influenza del patriottismo di Catone, in parte mercè la più raffinata coltura del circolo di Scipione, un così deciso primato che non solo fra le più recenti opere storiche se ne rinvenne appena qualcuna scritta in greco[23], ma le cronache greche di più antica data venivano tradotte in lingua latina e pare che fossero lette di preferenza nella traduzione.
Nelle cronache latine scritte in questo periodo non v'è purtroppo altro da lodare che l'uso della lingua materna. Esse erano molte e abbastanza circostanziate.
Si nominano ad esempio quelle di Lucio Cassio Emina (verso il 608 = 146), di Lucio Calpurnio Pisone (console del 621 = 133), di Caio Sempronio Tuditano (console del 625 = 129), di Caio Fannio (console del 632 = 122). Alle quali conviene aggiungere la compilazione della cronaca ufficiale urbana in ottanta libri, ordinata e pubblicata per cura dell'illustre giurisperito e supremo pontefice Publio Muzio Scevola (console del 621 = 133), dando così al libro della città il compimento, in quanto d'allora in poi le registrazioni pontificali, se non cessarono del tutto, vista la cura che si davano i cronisti privati, non erano letterariamente tenute in nessun conto.
Tutti questi annali, fossero essi lavori privati o ufficiali, in sostanza non erano altro che raccolte di materiali storici o quasi storici; ed il relativo pregio ordinario e formale scemava certamente nella stessa proporzione in cui cresceva la loro circostanzialità.
Si sa benissimo che nelle cronache non si trova mai verità senza invenzione, e sarebbe pazzia lamentarsi con Nevio e con Pittore perchè essi non hanno fatto diversamente di Ecateo e di Saxo il grammatico; ma i posteriori tentativi di edificare monumenti con tali nuvolaglie fantastiche mettono a dura prova anche la più sperimentata pazienza.
Non v'è lacuna così profonda nella tradizione che non possa essere riempita colla massima facilità da queste vere menzogne.
Senza alcuna difficoltà si fanno retrocedere dall'anno corrente sino all'anno prima gli eclissi solari, le cifre censuarie, le tavole genealogiche, i trionfi; vi si legge in quale anno, mese e giorno re Romolo salì al cielo e come il re Servio Tullio trionfò sugli Etruschi la prima volta il 5 novembre 183 = 571 e poi ancora il 25 maggio 187 = 567. Con questo si attaglia a puntino la storia della nave, sulla quale Enea era venuto nel Lazio da Troia e che nei cantieri romani si faceva vedere ai credenti, e persino quella scrofa che aveva servito di guida ad Enea e che si conservava nel tempio di Vesta.
Con lo spirito fantastico del poeta questi onorevoli cronisti associano la più noiosa accuratezza del copista, e trattano la loro grandiosa materia con quella scipitezza che necessariamente risulta dalla esclusione di ogni elemento poetico e storico.
Se, ad esempio, noi leggiamo in Pisone che Romolo si asteneva dal bere quando il giorno dopo doveva presiedere una seduta, che Tarpeia diede il Campidoglio in mano ai Sabini per amor di patria allo scopo di spogliare dei loro scudi i nemici, allora non deve destare meraviglia il giudizio dei Romani assennati di quei tempi su queste scribacchiature: «che questo non si chiamava scrivere storia, ma raccontar fiabe ai fanciulli».
Molto più importanti erano le speciali opere sulla storia del più vicino passato e del presente e specialmente la storia della guerra annibalica di Lucio Celio Antipatro (verso il 633 = 121) e la storia del suo tempo del poco più giovane Publio Sempronio Asellio. In questi si trova almeno un eccellente materiale e un sentimento di verità, in Antipatro anche una robusta narrazione, sebbene sia alquanto manierata; ma, a giudicare da tutti gli attestati e i frammenti, nessuno di quei libri si accostano nè per vigoria di forma, nè per originalità alle «Storie delle origini» di Catone, il quale purtroppo non ha formato una scuola nel campo della storia, nè in quello della politica.