9. Atenione.
Atenione, come Cleone, una volta formidabile capo dei partiti nella sua patria Cilicia, era stato condotto schiavo in Sicilia.
Appunto come i suoi predecessori si guadagnò prima di tutto gli animi dei Greci e dei Siri con profezie e altre venerabili imposture; ma, siccome era esperto nelle cose di guerra e previdente, egli non fornì di armi, come fecero gli altri capi, tutta la gente affluita sotto le sue bandiere, ma formò un esercito disciplinato scegliendo a tale scopo i più robusti, e invitando la moltitudine a occuparsi di opere di pace.
La severa disciplina, che vietava ogni titubanza ed ogni insubordinazione nelle sue truppe, e l'umano trattamento dei pacifici abitanti e persino dei prigionieri, gli valsero molta benevolenza. La speranza, che i Romani nutrivano, di vedere l'uno contro l'altro i due capi, anche questa volta venne meno. Sebbene assai superiore a lui per capacità, Atenione si sottomise spontaneamente al re Trifone, mantenendo così l'unione tra gli insorti.
Non andò molto che questi signoreggiassero quasi soli, sul paese, dove i liberi proletari più o meno apertamente favorivano gli schiavi; le autorità romane, non trovandosi in grado di scendere contro di essi in campo, dovevano accontentarsi, con le truppe della leva in massa siciliana ed africana raccolte in gran fretta, di proteggere le città che si trovavano in condizioni peggiori.
L'amministrazione della giustizia era cessata in tutta l'isola, ove regnava tirannico il diritto del più forte.
Nessun agricoltore osando approssimarsi alle porte della città e nessun contadino entrarvi, successe la più spaventevole carestia e bisognò sovvenire la popolazione urbana di quell'isola, che d'ordinario alimentava l'Italia, con cereali trasportativi per cura delle autorità romane. Si aggiunga che mentre le congiure degli schiavi cittadini minacciavano le città nel loro interno, gli eserciti degli insorti le attaccavano fuori delle mura; la stessa città di Messana fu prossima ad essere presa da Atenione.
Sebbene al governo fosse malagevole porre in campo un secondo esercito mentre ferveva la guerra contro i Cimbri, dovette mandare in Sicilia nel 651 = 103, senza contare le milizie oltremarine, un esercito di 14.000 Romani e Italici capitanati dal pretore Lucio Lucullo. L'esercito riunito degli schiavi, che si trovava sui monti presso Sciacca, accettò la battaglia che Lucullo gli offerse.
La migliore organizzazione militare dette la vittoria ai Romani; Atenione rimase come morto sul campo di battaglia, Trifone dovette fuggire nella rocca Triocala; gli insorti si consultarono sulla possibilità di continuare la lotta. Prevalse il partito risoluto a resistere sino agli estremi; Atenione, salvato miracolosamente, ricomparve e riprese il comando delle truppe rialzandone l'animo abbattuto. Non si capisce perchè Lucullo non abbia approfittato della riportata vittoria, anzi si vuole che volutamente abbia disorganizzato l'esercito e fatto ardere tutti i bagagli per coprire interamente la cattiva riuscita della sua impresa e per non essere offuscato dal suo successore.
Tuttavia è certo che il suo successore Caio Servilio (652 = 102) non conseguì migliori risultati di lui e che entrambi i generali furono poi accusati e condannati nel capo, il che tuttavia non sarebbe una prova certa della loro colpa.
Atenione, che, morto Trifone (652 = 102), aveva assunto il supremo comando, stava vittorioso alla testa di un considerevole esercito, quando nel 653 = 101 Manio Aquilio, il quale un anno prima si era segnalato sotto Mario nella guerra teutonica, assunse la direzione della guerra nella sua qualità di console e di legato. Dopo due anni di sanguinosi combattimenti – si dice che Aquilio abbia combattuto personalmente con Atenione, e lo abbia ucciso nel duello – finalmente il capitano romano abbattè la disperata resistenza degli insorti e li ridusse all'obbedienza con la fame, nel loro ultimo rifugio.
Agli schiavi dell'isola furono vietate le armi e la pace fece ritorno tra essi, cioè, ai nuovi tormentatori subentrarono quelli di prima; finalmente lo stesso vincitore occupò un posto eminente tra i numerosi ed energici magistrati predoni di quel tempo.
Ma chi abbia bisogno di un'altra prova per conoscere il governo interno della restaurata aristocrazia, ponga mente all'origine di questa seconda guerra siciliana degli schiavi, che durò cinque anni e al modo con cui fu condotta.