20. Battaglia di Cinocefale.
L'esercito macedone ed il romano – questo rinforzato dai continenti degli Apolloniati, degli Atamani e dei Cretesi spediti da Nabida ma principalmente da una grossa schiera di Etoli – contavano pressochè un ugual numero di combattenti, circa 26.000 uomini ciascuno: i Romani erano però superiori agli avversari nella cavalleria.
Dinanzi a Scotussa, sull'altipiano del Cadaragh, in una giornata fosca e piovosa, l'avanguardia romana si scontrò inaspettatamente con quella nemica, che occupava un'alta e scoscesa collina, detta Cinocefale, sorgente fra i due campi.
Respinti al basso, i Romani ebbero un rinforzo di truppe leggere con un eccellente corpo di cavalleria etolica, e così ricacciarono l'avanguardia macedone sulla collina ed oltre la medesima. Ma qui i Macedoni trovarono l'aiuto di tutta la loro cavalleria e della maggior parte della fanteria leggera. I Romani, che si erano imprudentemente inoltrati, furono respinti con gravi perdite sino al loro campo, e si sarebbero volti in piena fuga, qualora la cavalleria etolica non avesse alimentato il combattimento nella pianura fino a tanto che Flaminino potè accorrere colle legioni ordinate in tutta fretta.
Al furibondo grido delle truppe vittoriose, che chiedevano la continuazione del combattimento, il re cedette ed ordinò in fretta anche i falangisti alla battaglia, che in quel giorno non era attesa nè dal comandante nè dai soldati.
Si trattava di occupare la collina, che in quel momento era sguarnita di truppe.
L'ala destra della falange, condotta dal re stesso, vi arrivò in tempo per porsi a tutt'agio sul culmine; la sinistra era ancora indietro quando le truppe leggere dei Macedoni, spaventati dalle legioni, salirono in fretta e in furia la collina. Filippo spinse rapidamente le schiere dei fuggitivi lungo la falange del centro e, senza attendere che Nicanore fosse arrivato sull'ala sinistra coll'altra metà della falange che avanzava più lentamente, comandò che la falange destra discendesse la collina colle lance in resta e si gettasse sulle legioni, mentre nello stesso tempo la riordinata falange leggera le aggirava ed attaccava di fianco.
L'attacco operato dalla falange, che su un terreno favorevole era irresistibile, sbaragliò la fanteria romana e sconfisse completamente la sua ala sinistra. Quando Nicanore, che si trovava all'altra ala, vide il re attaccare il nemico, fece avanzare rapidamente l'altra metà della falange; ma questo movimento generò confusione, e mentre le prime file seguivano frettolosamente la vittoriosa ala destra, scendendo la collina, ed erano ridotte in maggior disordine per l'ineguaglianza del terreno, le ultime arrivavano appena sul culmine.
In queste circostanze l'ala destra dei Romani si sbarazzò facilmente dell'ala sinistra del nemico; gli elefanti che si trovavano in quest'ala bastarono da soli a distruggere le scomposte schiere macedoni. Mentre qui avveniva un terribile macello, un risoluto ufficiale romano, raccolti venti manipoli, si gettò sull'ala vittoriosa dei Macedoni, la quale, inseguendo l'ala sinistra dei Romani, si era tanto avanzata che l'ala destra della stessa le era alle calcagna.
La falange nulla poteva contro un attacco alle spalle, e questa mossa mise fine alla giornata.
Considerato il completo dissolvimento d'entrambe le falangi, non deve sembrare strano che vi si contassero 13.000 Macedoni tra morti e prigionieri, e in maggior numero i morti, perchè i soldati romani non conoscevano il segno della resa dei Macedoni, che consisteva nell'elevazione delle sarisse[3]; le perdite dei vincitori furono di poco rilievo.
Filippo fuggì a Larissa, e, dopo aver bruciato tutte le sue carte per non compromettere nessuno, sgombrò la Tessalia e se ne ritornò in patria.
Contemporaneamente a questa grande sconfitta, i Macedoni soffrirono altri danni su tutti i punti da essi ancora occupati. Nella Caria i mercenari di Rodi sconfissero il corpo di truppe macedoni che vi si trovava, e lo costrinsero a riparare in Stratonica; la guarnigione di Corinto fu battuta da Nicostrato e dai suoi Achei e soffrì gravi perdite; Leucade nell'Acarnania fu presa d'assalto dopo un'eroica difesa.
Filippo era vinto completamente e gli Acarnani, suoi ultimi alleati, si sottomisero dopo avuta la notizia della battaglia di Cinocefale.