10. Elevazione dei cavalieri.
Caio Gracco, facendo assegnamento sulle masse che in parte aspettavano ed in parte avevano già ottenuto dalle sue cure migliori condizioni, intendeva con l'usata energia a scalzare l'aristocrazia.
Ben conoscendo quanto mal sicuro sia il potere di un corpo dello stato che si fondi unicamente sul proletariato, egli anzitutto pose ogni sua cura a disunire l'aristocrazia e a trarne a sè una parte.
Gli elementi per questa scissura esistevano. L'aristocrazia dei ricchi, che come un sol uomo si era sollevata contro Tiberio Gracco, consisteva infatti in due schiere essenzialmente diverse, paragonabili in certo modo all'aristocrazia dei Lords e ad quella della City in Inghilterra.
La prima comprendeva il ristretto circolo della famiglie senatorie dominanti, che si astenevano dalle speculazioni dirette e impiegavano gli immensi capitali parte in latifondi, parte, come inoperosi azionisti, nelle grandi imprese industriali.
Formavano il nucleo della seconda classe gli speculatori, i quali, o come gerenti di queste società o in proprio, esercitavano il grande commercio e la banca fin dove si estendeva il dominio romano. Abbiamo già osservato come questa ultima classe, particolarmente nel sesto secolo, andasse a poco a poco accostandosi all'aristocrazia senatoria, e come il plebiscito claudiano, promosso dal precursore dei Gracchi, che vietava legalmente ai senatori l'esercizio del commercio, avesse tracciato una linea di separazione fra i senatori e i commercianti e i banchieri.
In quest'epoca l'aristocrazia del commercio comincia ad esercitare un'influenza decisiva anche negli affari politici sotto il nome della «cavalleria». Tal nome, che in origine indicava solo la cavalleria cittadina facente parte dell'esercito, fu a poco a poco attribuito, almeno nell'uso comune parlato, a tutti coloro i quali, come possidenti d'una sostanza non minore di 400 000 sesterzi, fossero soggetti al servizio di cavalleria, e comprendeva quindi tutta la nobile società romana senatoria e non senatoria.
Tuttavia non molto prima del tempo di Caio Gracco, essendo stata legalmente stabilita l'incompatibilità del seggio nella curia e del servizio equestre, ed essendosi perciò i senatori separati dagli idonei a questo servizio, la classe dei cavalieri, presa nel suo insieme, poteva considerarsi, in antitesi al senato, come rappresentante dell'aristocrazia degli speculatori; sebbene coloro che non facevano parte del senato, specialmente i giovani membri delle famiglie senatorie, non cessassero di servire come cavalieri e di chiamarsi tali; continuando anzi la cavalleria cittadina propriamente detta, cioè le diciotto centurie di cavalieri, nel loro assestamento operato dai censori, a completare le loro file di preferenza colla gioventù aristocratica senatoria. Quest'ordine dei cavalieri, che è quanto dire dei ricchi negozianti, si trovava sotto molti aspetti in contrasto col senato.
Esisteva un'antipatia naturale tra i nobili di antica data e quelli che si erano procurato il grado col denaro.
I nobili che si trovavano al timone dello stato, e soprattutto i migliori fra essi, erano alieni dalle speculazioni appunto come gli uomini dediti agli interessi materiali lo erano dalle questioni politiche e dagli antagonismi di partito. Gli uni e gli altri erano giunti parecchie volte, particolarmente nelle province, ad aspri conflitti, poichè, sebbene i provinciali avessero maggior ragione di lamentarsi delle parzialità dei magistrati romani che non i capitalisti romani, i nobili del senato tuttavia non si prestavano ciecamente a soddisfare le pretese ingiustificabili degli uomini danarosi a danno dei sudditi, come quelli esigevano.
Malgrado il buon accordo che esisteva contro un comune nemico, qual era stato Tiberio Gracco, un abisso separava l'aristocrazia dei natali da quella del danaro; e, con maggiore abilità di suo fratello, Caio Gracco seppe approfondire tale abisso sino a che, discioltasi l'alleanza, la classe dei commercianti si unì a lui.