6. Caio Gracco.
Caio Gracco (601-633 = 153-121) era molto diverso da suo fratello, di cui era di nove anni più giovane.
Come questi egli era avverso ai piaceri volgari e alle triviali agitazioni; uomo colto e soldato valoroso si era distinto combattendo dinanzi alle mura di Numanzia sotto suo cognato e più tardi in Sardegna. Ma per ingegno, per carattere e soprattutto nelle passioni egli era senza dubbio superiore a Tiberio.
Nella rapidità di giudizio e nel senno, con cui questo giovane col crescere degli anni seppe regolarsi nel vortice delle più svariate faccende che erano necessarie all'attuazione delle numerose sue leggi, si riconobbe il vero genio dell'uomo di stato, come l'attrattiva del suo nobile animo si riconobbe nell'appassionata devozione, costante fino alla morte, che ebbero per lui i suoi più intimi amici.
Ad accrescere l'energia della sua volontà e delle sue azioni, concorse la scuola delle sofferenze, nonchè l'isolamento a cui era stato costretto negli ultimi nove anni; l'ira e l'odio contro un partito, che aveva messo a soqquadro la patria e tolto a lui un fratello, lungamente repressi, non diminuirono, ma con più forza riarsero entro il suo petto.
Questa terribile passione, che gli infiammava l'animo, lo fece il primo oratore che Roma vantasse; senza essa noi l'avremmo forse annoverato fra i più eminenti uomini di stato di tutti i tempi. Fra i pochi frammenti dei suoi discorsi scritti ve ne sono ancora parecchi concepiti con quella forza, che non può a meno di scuotere potentemente i cuori[2], e ben si comprende, come coloro che li udivano da lui pronunciati, o solo li leggevano, dovessero sentirsi trascinati dall'impetuoso fremito delle sue parole. Ma per quanto valente oratore egli fosse, si lasciava spesso trasportare dall'ira così che al brillante parlatore il discorso usciva torbido o stentato dalle labbra.
Era l'immagine fedele della sua vita politica. Nel carattere di Caio non c'è un sentimento che assomigliasse a suo fratello; nulla di quella bontà sentimentale dell'animo, di corta e mal sicura vista, che colle preghiere e colle lacrime pensava di smuovere un avversario politico dai suoi disegni; Caio, anelando alla vendetta, con tutta sicurezza si mise sulla via della rivoluzione: «Anche a me nulla sembra più bello e più magnifico» gli scriveva sua madre «che di vendicarsi del nemico, purchè lo si possa fare senza la rovina della patria. Ma se ciò non è possibile, rimangano i nostri nemici le mille volte ciò che sono, piuttosto che la patria perisca».
Cornelia conosceva suo figlio; la sua professione di fede era appunto il contrario. Vendetta egli voleva di quel miserabile governo, vendetta ad ogni costo, dovesse perire egli stesso, dovesse andare sossopra la repubblica; il presentimento che il destino lo avrebbe presto raggiunto come suo fratello, lo spingeva innanzi colla furia dell'uomo mortalmente ferito che si getta sul nemico. La madre pensava più nobilmente: ma con ragione furono i posteri più larghi di compianto che di biasimo anche verso il figlio, questa natura veramente italiana, irritata e inasprita dalla passione.
Tiberio Gracco si era presentato ai cittadini con una sola riforma amministrativa. L'opera di Caio, consistente in una serie di progetti separati, era niente altro che una nuova costituzione fondata sull'innovazione già adottata, che fosse cioè in facoltà del tribuno del popolo il farsi rieleggere per l'anno successivo. Se con tale misura si rendeva possibile al tribuno del popolo una durata in carica bastevole a difenderlo, conveniva inoltre assicurare al medesimo la forza materiale, vincolando a lui coi suoi interessi la moltitudine della capitale poichè si erano avute prove sufficienti che non si poteva contare sui campagnoli, usi ad accorrere in città solo ad intervalli. Si ricorse perciò in primo luogo alla distribuzione di frumento ai cittadini della capitale. Già prima si era venduto alla cittadinanza a prezzo vile il frumento che le decime delle province fruttavano allo stato.
Gracco ordinò, che da allora in poi tutti i mesi si somministrasse dai pubblici magazzini, ad ogni cittadino della capitale che si presentasse in persona, una certa quantità di grano – pare che fossero cinque moggi (5/6 d'uno stato) al prezzo di sei assi al moggio che non era la metà del prezzo medio; a tale scopo coll'aggiunta di nuovi granai sempronici, furono ampliati i pubblici granai.
Questa distribuzione, dal cui beneficio erano esclusi i cittadini dimoranti fuori della capitale, doveva necessariamente attirare a Roma tutta la moltitudine del proletariato cittadino e ridurre sotto la clientela dei capi del partito del movimento il proletariato cittadino della capitale, che fino allora era essenzialmente dipeso dall'aristocrazia, e procacciare così al nuovo supremo capo dello stato stesso una guardia del corpo e una compatta maggioranza nei comizi.
Per maggiore sicurezza riguardo alla medesima, fu inoltre abolito l'ordine di votazione vigente ancora nei comizi centuriati, secondo il quale le cinque classi, in cui erano divisi i cittadini, davano loro[3] i voti in ogni circolo l'una dopo l'altra; abolito questo sistema, dovevano in avvenire dare tutte le centurie il voto l'una dopo l'altra nell'ordine che di volta in volta doveva essere fissato dalla sorte.
Se con simile provvedimento si mirava particolarmente ad assicurare col mezzo del proletariato della capitale al nuovo supremo capo dello stato la completa signoria sulla capitale e quindi sullo stato, l'assoluto potere sui comizi, e, occorrendo, la possibilità d'incutere terrore al senato e ai magistrati, il legislatore mirava pure al tempo stesso con tutta serietà ed energia al rimedio dei mali, dai quali la società era travagliata.
La questione demaniale italica poteva in certo modo considerarsi come composta.