9. Convegno di Lucca.
Sebbene Cesare ricevesse giornalmente rapporti dettagliati sugli avvenimenti della capitale, e, permettendolo i riguardi militari, li seguisse nella maggiore possibile vicinanza dalla sua provincia meridionale, egli fino allora, almeno apparentemente, non vi si era immischiato.
Ma adesso era stata dichiarata la guerra a lui ed al suo collega, e specialmente a lui; doveva agire ed agì con prontezza.
Egli si trovava appunto vicino; l'aristocrazia non aveva creduto nemmeno di attendere a romperla sino al momento che egli avesse ripassato le Alpi. Ai primi di aprile del 698 = 56 Crasso lasciò la capitale per consigliarsi col più potente suo collega sul da farsi; egli trovò Cesare in Ravenna. Di là si recarono entrambi a Lucca ove giunse anche Pompeo, il quale aveva lasciato Roma subito dopo Crasso (11 aprile) apparentemente per sollecitare le spedizioni dei cereali dalla Sardegna e dall'Africa.
Là li seguirono i principali loro aderenti, il proconsole della Spagna citeriore, Metello Nepote, il pretore della Sardegna, Appio Claudio e parecchi altri. A questa conferenza, dove per antitesi col senato repubblicano era rappresentato il nuovo senato monarchico, si contavano centoventi littori ed oltre duecento senatori. Sotto ogni rapporto la parola decisiva apparteneva a Cesare. Egli se ne servì per ristabilire e meglio consolidare l'esistente condominio sulla nuova base di una più proporzionata divisione del potere.
Le luogotenenze militarmente più importanti, oltre quella delle due Gallie, furono assegnate ai due colleghi: a Pompeo quella delle due Spagne, a Crasso quella della Siria, cariche che dovevano essere loro assicurate per cinque anni (700-704 = 54-50) con un plebiscito, provvedendoli convenientemente sotto l'aspetto militare e finanziario. Invece Cesare chiese la proroga del suo comando, che doveva scadere col 700 = 54, sino a tutto il 705 = 49; l'autorizzazione di aumentare fino a dieci le sue legioni e di caricare sul pubblico tesoro il soldo da pagarsi alle truppe da lui arbitrariamente levate.
Fu inoltre promesso a Pompeo e a Crasso il secondo consolato pel prossimo anno (699 = 55), ancora prima che si recassero nelle rispettive loro luogotenenze, mentre Crasso si riservava di esercitare per la seconda volta la suprema carica consolare subito dopo spirato nel 706 = 48 il tempo della sua luogotenenza e con esso il termine decennale stabilito dalla legge fra un consolato e l'altro.
Poichè le legioni di Cesare, destinate già ad appoggiare l'ordinamento delle condizioni della capitale, non potevano allora essere rimosse dalla Gallia transalpina, Pompeo e Crasso trovarono le necessarie forze militari nelle legioni che essi dovevano organizzare per gli eserciti di Spagna e della Siria, e per le quali era lasciata ad essi la facoltà di stabilire il momento opportuno per farle marciare ai diversi luoghi di loro destinazione.
Definite le questioni principali, le secondarie, come il concretare la tattica da seguire di fronte agli avversari dell'opposizione nella capitale, il regolare le candidature pei prossimi anni e simili, non diedero molto da fare. Il gran maestro della mediazione compose colla solita facilità le liti personali che formavano ostacolo alla convenzione e costrinse gli elementi più ricalcitranti a riconciliarsi. Tra Pompeo e Crasso fu ripristinata, almeno in apparenza, una buona intelligenza di colleghi. Lo stesso Publio Clodio fu costretto a tenersi tranquillo insieme alla sua banda, e a non più importunare Pompeo; questo non fu uno dei minori miracoli dell'ammaliatore.