16. L'annullamento del trattato.
Il senato annullò anche il secondo trattato di pace. Secondo le nuove idee sulla santità dei trattati non parve più necessario di consegnare al nemico il comandante supremo che l'aveva concluso, com'era avvenuto trent'anni prima, e il senato decise di riprendere questa volta la guerra con tutta l'energia.
Il supremo comando in Africa fu affidato, come era naturale, ad un aristocratico, ma dei pochi che per principî morali e per militari talenti fossero adatti a tale ufficio. Fu questi Quinto Metello. Egli era simile alla famiglia a cui apparteneva, aristocratico di principî rigidi e severi, un magistrato che reputava un onore il prezzolare assassini per il bene dello stato e che avrebbe beffeggiato ciò che Fabrizio aveva fatto con Pirro come una buffonata da don Chisciotte; ma era amministratore incorruttibile, sull'animo del quale nulla potevano nè le lusinghe nè il timore, ed avveduto ed esperto capitano.
Come tale egli non aveva i pregiudizi della sua casta e ne abbiamo una prova nella scelta degli ufficiali che non fece nella sua classe, ma furono il valente Publio Rutilio Rufo, stimato dall'esercito per la sua esemplare disciplina e come autore d'un nuovo regolamento d'esercizi, e il valoroso Caio Mario, figlio di un contadino del Lazio.
Con questi ed altri abili ufficiali, nell'anno 645 = 109 Metello come console e duce supremo andò all'esercito d'Africa, che trovò in tale stato di sfacelo, che i generali non avevano sino allora osato di condurlo sul territorio nemico, poichè non ispirava timore a nessuno fuorchè agli infelici abitanti della provincia romana. In fretta e con grande severità fu riorganizzato e nella primavera del 646 = 108 Metello lo potè condurre oltre i confini numidi[6].