14. Guerra in Italia.
Mentre Marcello metteva fine alla guerra di Sicilia, Publio Sulpizio a quella di Grecia, e Scipione a quella di Spagna, continuava senza posa la grandiosa lotta nella penisola italica.
Dopo la giornata di Canne, allorchè le conseguenze della medesima si poterono valutare per i vincitori e per i vinti, la posizione dei Romani e dei Cartaginesi, in principio dell'anno 540=214, quinto della guerra, era la seguente: evacuata ch'ebbe Annibale l'alta Italia, i Romani la rioccuparono con tre legioni, stabilendone due nel paese dei Celti, la terza come riserva nel Piceno.
La bassa Italia fino al monte Gargano ed al Volturno si trovava in mano d'Annibale, ad eccezione delle fortezze e della maggior parte dei porti. Egli stesso stanziava col grosso dell'armata nell'Apulia presso Arpi, avendo di fronte Tiberio Gracco con quattro legioni appoggiato alle fortezze di Lucera e di Benevento.
Nel paese dei Bruzi, i quali si erano dati interamente ad Annibale, e dove i Cartaginesi avevano occupati i porti, ad eccezione di quello di Reggio poichè protetto dai Romani che presidiavano Messina, si trovava un secondo esercito cartaginese capitanato da Annone, il quale non aveva, per il momento, di fronte alcun nemico.
Il grosso dell'esercito romano, composto di quattro legioni e comandato dai due consoli Quinto Fabio e Marco Marcello, si disponeva a tentare la riconquista di Capua.
Si aggiungevano dal lato dei Romani due legioni di riserva nella capitale, i presidii di tutti i porti di mare, che in Taranto e in Brindisi erano stati rinforzati con una legione a causa del temuto sbarco dei Macedoni; finalmente la numerosa flotta che dominava il mare senza alcun contrasto.
Se vi si aggiungano gli eserciti di Sicilia, di Sardegna e di Spagna, le forze dei Romani, anche indipendentemente dal servizio delle guarnigioni, a cui nelle piazzeforti della bassa Italia provvedevano i coloni colà stabiliti, ascendevano a non meno di 200.000 uomini, dei quali, un terzo reclute dell'annata; circa la metà erano cittadini romani.
Si può ritenere che si trovassero sotto le armi tutti gli uomini atti a combattere dai 17 a 46 anni, e che i campi dove la guerra permetteva di lavorare fossero coltivati dagli schiavi, dai vecchi, dai ragazzi e dalle donne.
È naturale che in simili condizioni anche le finanze si trovassero nel massimo imbarazzo; l'imposta prediale, sulla quale si faceva precipuo assegnamento, si riscuoteva assai irregolarmente. Non ostante una tale scarsità di uomini e di denaro, i Romani poterono riguadagnare, sebbene lentamente e impiegando tutte le loro forze, quanto essi con tanta rapidità avevano perduto, e poterono aumentare ogni anno i loro eserciti, mentre quelli cartaginesi andavano assottigliandosi sempre più.
Inoltre i Romani, d'anno in anno, ritornavano a prevalere contro tutti gli alleati d'Annibale in Italia, i Campani, gli Apuli, i Sanniti e i Bruzi, i quali non bastavano a difendersi da sè alla pari delle fortezze romane della bassa Italia, nè potevano essere sufficientemente tutelati dal debole esercito d'Annibale.
Finalmente il sistema di guerra introdotto da Marco Marcello eccitò il talento degli ufficiali, e dimostrò completamente la superiorità della fanteria romana.
Annibale poteva ben sperare di riportare ancora qualche vittoria ma non come quelle riportate sulle sponde del Trasimeno e sulle rive dell'Ofanto; i tempi dei generali borghesi erano passati. Non gli rimaneva altro da fare, che attendere che Filippo effettuasse lo sbarco da tanto tempo promesso, o che i fratelli gli stendessero la mano dalla Spagna, procurando nel frattempo di tenere possibilmente in buona condizione e di buon animo il suo esercito ed i suoi alleati.
A giudicare dal sistema di difesa mantenuto ora tenacemente, a stento si riconosce in lui quel capitano, che con tanto vigore e con tanta temerità aveva già, come mai nessun altro, condotta l'offensiva; ed è cosa meravigliosa così dal lato psicologico che militare vedere lo stesso uomo assolvere con eguale perfezione i due compiti impostigli, di natura così diversa.