21. Pace colla Macedonia.
Spettava ora esclusivamente ai Romani dettare le condizioni di pace; essi usarono della loro forza senza abusarne.
Si poteva distruggere il regno d'Alessandro, e nella conferenza degli alleati ne fu fatta formale richiesta dagli Etoli, ma quali sarebbero stati gli effetti di una simile decisione se non il crollo del baluardo che proteggeva la civiltà ellenica contro i Traci e i Celti?
Già mentre si combatteva ancora l'ultima guerra, la fiorente Lisimachia, nel Chersoneso tracico, era stata completamente distrutta dai Traci; serio avviso per l'avvenire.
Flaminino, il quale aveva studiato profondamente le fatali inimicizie degli stati greci, non poteva consentire che una potenza così grande, come quella di Roma, per l'odio della confederazione etolica, assumesse quell'esecuzione, quand'anche le sue simpatie per la Grecia e pel re cavalleresco non lo avessero sedotto almeno altrettanto quanto era stato leso il suo sentimento nazionale romano dalla iattanza degli Etoli «vincitori di Cinocefale» come essi si definivano.
Egli rispose agli Etoli che non era costume romano distruggere i vinti; che del resto essi erano liberi e padroni di farla finita colla Macedonia, se lo potevano.
Il re fu trattato con tutti i possibili riguardi, e dopo d'essersi dichiarato pronto ad accettare ora le condizioni che gli erano state fatte prima, gli fu da Flaminino accordato, verso pagamento d'una somma in denaro e verso la consegna di ostaggi – fra i quali il proprio figlio Demetrio – un più lungo armistizio, di cui Filippo aveva urgente bisogno per scacciare i Dardani dalla Macedonia.
L'ordinamento definitivo degli intricati affari greci fu dal senato affidato ad una commissione composta di dieci membri, presidente ed anima della quale fu ancora Flaminino. Da questa commissione furono concesse a Filippo condizioni eguali a quelle fatte a Cartagine.
Il re macedone perdette tutti i possedimenti esterni dell'Asia minore, della Tracia, della Grecia e delle isole egee; rimase invece intatta la Macedonia, eccettuati alcuni insignificanti luoghi confinari e la provincia d'Orestide che fu dichiarata libera – stipulazione che riuscì assai dura per Filippo, ma che i Romani non potevano fare a meno di imporgli, poichè col suo noto carattere era impossibile lasciargli sottoposti sudditi che si erano già ribellati contro di lui.
Filippo si obbligò inoltre di non concludere alcuna alleanza estera all'insaputa dei Romani, a non inviare presidî fuori dello stato, a non guerreggiare fuori della Macedonia contro stati civilizzati, e in generale contro gli alleati dei Romani, a non tenere oltre 5.000 uomini sotto le armi, a non mantenere elefanti, e a non avere più di cinque vascelli coperti, consegnando gli altri ai Romani. E finalmente egli entrò nella simmachia dei Romani.
Questo patto l'obbligava a mandare, dietro loro richiesta, il suo contingente, e non passò molto tempo che si videro le truppe macedoni combattere insieme alle legioni. Egli pagò inoltre una contribuzione di 1000 talenti (circa L. 16.000.000).
Privata la Macedonia di ogni forza politica e limitate le sue forze a quelle sufficienti a proteggere il confine dell'Ellade dalle invasioni dei barbari, i vincitori pensarono di disporre dei possedimenti ceduti dal re.
I Romani, che appunto allora avevano fatto prova nella Spagna che le province d'oltremare erano acquisti di utilità problematica, e che non avevano cominciata la guerra a scopo di conquiste territoriali, non trattennero nulla del bottino e obbligarono quindi anche i loro alleati alla moderazione.
Essi decisero di proclamare liberi tutti gli stati della Grecia che fino allora erano stati sotto l'egemonia di Filippo; e Flaminino ebbe l'incarico di leggere il relativo decreto ai Greci, radunati per assistere ai giuochi istmici (558=196).
Gli uomini seri potevano chiedere senza dubbio se la libertà sia un bene che si doni e cosa significhi la libertà senza l'unità della nazione; ma il giubilo era grande e sincero, come sincera era l'intenzione del senato che concedeva la libertà[4].
Da questa misura generale erano esclusi soltanto i paesi illirici all'oriente di Epidamno, che toccarono a Pleurato, signore di Scodra, e questo stato di ladroni e di pirati che una generazione prima era stato umiliato dai Romani, risorse e divenne il più potente di queste regioni. Ne furono eccettuati anche alcuni distretti della Tessalia occidentale, già occupati da Aminandro, cui ne fu lasciato il possesso e le tre isole di Paro, Sciro ed Imbro, toccate in dono ad Atene per le molte sue sofferenze e per i suoi ancora più numerosi indirizzi di ringraziamenti e di cortesie d'ogni genere.
Già s'intende che i Rodioti conservarono i loro possedimenti nella Caria, e che a quei di Pergamo rimase Egina. Del resto gli alleati furono ricompensati soltanto indirettamente coll'ammissione delle città liberate alle diverse federazioni.
Meglio di tutti ne uscirono gli Achei, i quali tuttavia erano stati gli ultimi ad accedere alla coalizione contro Filippo; ma, come sembra, ciò fu per l'onorevole motivo che l'Acaia era fra tutti gli stati della Grecia il più ordinato ed il più onesto.
Tutti i possedimenti di Filippo nel Peloponneso e sull'istmo, quindi particolarmente Corinto, furono incorporati nella loro lega.
Poche cerimonie si fecero invece cogli Etoli; fu loro concesso di ammettere nella loro simmachia le città della Focide e della Locride, ma le loro proposte di estenderla anche all'Acarnania ed alla Tessalia furono in parte decisamente respinte, in parte rimandate ad altro tempo; le città della Tessalia furono ordinate in quattro piccole federazioni indipendenti.
La lega delle città rodiote ebbe il beneficio della liberazione di Taso e di Lemno, ed ebbe le città della Tracia e dell'Asia minore.
L'ordinamento degli affari della Grecia, tanto nelle reciproche relazioni degli stati, quanto nelle condizioni dei singoli stati, offriva delle difficoltà.
Il più urgente affare era la guerra che si conduceva dal 550=204 in poi tra gli Spartani e gli Achei, la sistemazione della quale toccava necessariamente ai Romani.