10.Abusi nell'amministrazione.
E così il sistema delle finanze nella repubblica romana di quell'epoca, anzichè progredire, inclinava a peggiorare.
Le imposte indirette – a Roma le dirette non esistevano – aumentavano con l'estendersi del territorio romano, per cui negli anni 555, 575=199, 179 si dovettero stabilire nuovi uffici doganali sulle coste della Campania e del Bruzio, a Pozzuoli, a Castra (Squillace) e in altri luoghi
Alla stessa causa si deve attribuire la nuova tariffa del sale dell'anno 550=204, che ne stabilisce il prezzo graduale secondo i diversi distretti d'Italia, mentre non era più possibile somministrare il sale allo stesso prezzo a tutti i cittadini romani ormai sparsi per tutta la penisola; siccome però il governo romano concedeva forse ai cittadini il sale al prezzo di costo, se non al disotto, così questa misura finanziaria non fu per lo stato di alcun vantaggio.
Molto più importante era diventato l'aumento della rendita dei beni demaniali. È vero che l'imposta dovuta all'erario pei terreni demaniali italici dei quali era stata permessa l'occupazione, per la maggior parte non veniva nè richiesta, nè pagata. Fu invece conservato in vigore il dazio sui pascoli scriptoria, e non solo non si lasciarono occupare le nuove terre demaniali acquistate in seguito alla guerra annibalica, e particolarmente la maggior parte del territorio di Capua e quello di Leontini, ma furono suddivise e date in affitto temporaneo a piccoli fittavoli, e in questa occasione il governo si oppose con energia ai tentativi d'occupazione, per cui venne assicurata una importante e sicura sorgente alle pubbliche finanze.
Così furono appaltate con profitto le miniere dello stato, e particolarmente quelle ragguardevoli della Spagna.
Alle rendite si aggiunsero finalmente i prodotti dei tributi dei sudditi d'oltremare. Durante quest'epoca somme ragguardevolissime, provenienti da fonti straordinarie, arricchirono il pubblico tesoro; dal bottino della guerra con Antioco 200 milioni di sesterzi (circa L. 53.625.000) e da quello della guerra con Perseo (210 milioni di sesterzi (circa L. 56.250.000); quest'ultimo fu il massimo versamento contante fatto in una sola volta nel tesoro romano.
Ma questo aumento delle entrate era in gran parte frustrato dall'aumento delle spese.
Le province, eccettuatane forse la Sicilia, assorbivano quasi quello che rendevano; le spese per la costruzione delle strade e per altre costruzioni aumentavano in proporzione dell'estensione del territorio, e la restituzione dei prestiti (tributa) dei cittadini durante i difficili tempi di guerra, ancora molti anni dopo l'accensione, gravava sopra l'erario romano.
A queste spese si debbono aggiungere le notevoli perdite cagionate alla repubblica dalla cattiva amministrazione, dalla negligenza, o peggio, dei supremi magistrati.
Noi ci riserbiamo di parlare più avanti della condotta degl'impiegati delle province, dello sperpero delle entrate del comune, delle frodi particolarmente nel bottino, dell'incipiente sistema di concussione e di corruzione.
Come il governo si trovasse per gli appalti dei suoi dazi e pei contratti di forniture e costruzioni in generale, lo si può dedurre dal fatto che il senato decise nell'anno 587=167 di rinunciare all'esercizio delle miniere della Macedonia, venute in potere della repubblica, perchè gli appaltatori avrebbero spogliato i sudditi o derubato l'erario: confessione ingenua d'impotenza che l'autorità censoria faceva a se stessa.
E non solo, come abbiamo già detto, si trascurava tacitamente la riscossione dell'imposta fondiaria dei terreni demaniali occupati, ma si tollerava che si occupasse il suolo del comune, dentro la capitale ed altrove, ad uso di private istituzioni, che si deviasse l'acqua dai pubblici acquedotti a scopi privati, e sorgevano gravi malumori se un censore procedeva seriamente contro i contravventori e li obbligava o a rinunciare ai frutti dell'usurpata proprietà comunale o a corrispondere la tassa legalmente stabilita per l'occupazione del suolo e per l'uso dell'acqua.
La coscienza economica dei Romani, in altri tempi così scrupolosa, si dimostrava molto rilassata quando si trattava dei beni comunali.
Catone diceva «chi ruba ad un cittadino termina i suoi giorni nei ceppi, chi ruba al comune li termina in mezzo all'oro e alla porpora».
Se malgrado il fatto, che l'erario fosse impunemente e sfacciatamente saccheggiato dagli impiegati e dagli speculatori, Polibio asserisce, che in Roma la frode era tuttavia rara in confronto della Grecia, dove non s'incontrava facilmente un impiegato che non s'imbrattasse le mani col pubblico denaro; e se un commissario od un magistrato romano amministrava lealmente immense somme di danaro sulla sua semplice parola d'onore, mentre in Grecia occorrevano dieci lettere suggellate e venti testimoni per la minima somma, e ciò non pertanto l'inganno era all'ordine del giorno, ciò prova, che la demoralizzazione sociale ed economica aveva raggiunto in Grecia un grado molto maggiore che non in Roma, dove specialmente la malversazione delle casse pubbliche non era arrivata al punto cui era giunta in Grecia.
Lo stato generale finanziario si manifesta con molta evidenza nella condizione in cui si trovavano le pubbliche costruzioni, e nel denaro contante del pubblico tesoro.
Noi sappiamo che in tempi di pace s'impiegava un quinto della rendita per le pubbliche costruzioni, in tempo di guerra un decimo, ciò che, in considerazione delle circostanze, non pare fosse una somma molto ragguardevole. Questo denaro e quello delle multe inflitte, che non si versava direttamente nel pubblico tesoro, serviva per la manutenzione del lastricato delle vie della capitale e dei suoi dintorni, per lastricare le strade principali d'Italia[7], e per l'erezione di pubblici edifici.
Fra le opere che si eseguirono in quei tempi nella capitale, la più ragguardevole fu certamente la grande riparazione e l'estensione della rete delle cloache data a cottimo circa l'anno 570=184, per cui in una sola volta fu assegnata la somma di 24 milioni di sesterzi (L. 6.290.000); a questa costruzione appartengono, probabilmente, gli avanzi delle cloache che tutt'ora esistono.
Ma secondo tutte le apparenze, anche astrazione fatta dai difficili tempi di guerra, questo periodo, rispetto alle pubbliche costruzioni, fu inferiore alla seconda parte del precedente.
Nel tempo che corse tra l'anno 482 ed il 607=272-147 non fu costruito in Roma nessun nuovo acquedotto. Il tesoro dello stato andava certamente sempre più prosperando: l'ultimo fondo di riserva nel 545=209 quando fu necessario adoperarlo, ammontava a sole L. 4.290.000, mentre poco prima della fine di questo periodo (597=157) si trovava nel tesoro un avanzo di poco meno di L. 22.500.000 in metalli nobili.
Considerati però gli immensi versamenti straordinari che si verificarono durante una sola generazione dopo la guerra annibalica, questa somma, anzichè per la sua elevatezza, desta grande sorpresa per la sua modestia.
Per quanto la scarsezza di notizie lo permetta, diremo che nelle pubbliche finanze della repubblica romana, si rileva bensì una sovrabbondanza delle rendite di fronte alle spese, ma non emergono tuttavia risultati brillanti.