25. Combattimenti sul Ponto.
Il gran re, reso accorto dall'esperienza fatta sotto Tigranocerta, abbandonò la città a sè stessa; questa nonostante una valorosa difesa, fu dagli assedianti presa d'assalto in una notte oscura e piovosa e l'esercito di Lucullo vi trovò un bottino non meno ricco e quartieri d'inverno non meno comodi di quelli trovati l'anno prima in Tigranocerta.
Ma intanto tutta la forza dell'offensiva nemica cadde sui deboli corpi romani del Ponto e presso Tigranocerta. Qui Tigrane costrinse il comandante romano Lucio Fannio – quello stesso che prima aveva fatto il mediatore tra Sertorio e Mitridate – a gettarsi in una fortezza, ove lo tenne assediato.
Mitridate entrò nel Ponto con 4000 cavalieri armeni e altrettanti propri, e come liberatore e vindice chiamò sotto le armi la nazione contro il nemico del paese. Tutti accorrevano; i soldati romani dispersi furono presi e uccisi e quando Adriano, comandante romano del Ponto, condusse le sue truppe contro di lui, gli antichi mercenari del re e i molti Pontici, che seguivano l'esercito come schiavi, fecero causa comune col nemico. Due giorni di seguito durò la lotta ineguale; solo la circostanza che il re, dopo aver ricevuto due ferite, dovette essere trasportato fuori del campo di battaglia, fornì al comandante romano la possibilità di interrompere la battaglia considerata come perduta e di gettarsi con le poche forze rimastegli in Cabira.
Un altro dei luogotenenti di Lucullo, che venne per caso in questa regione, il risoluto Triario, raccolse ancora un manipolo di soldati e ottenne contro il re un fortunato combattimento; ma egli era troppo debole per ricacciarlo dal suolo pontico e dovette lasciare che il re prendesse i suoi quartieri d'inverno in Comana.