QUARTO CAPITOLO
CADUTA DELLA POTENZA ETRUSCA – I CELTI
1. Dominio marittimo etrusco-cartaginese.
Dopo aver esposto come si venisse svolgendo la costituzione romana durante i due primi secoli della repubblica, la storia esterna di Roma e d'Italia ci riconduce al principio di quest'epoca.
Allorchè i Tarquini furono scacciati da Roma, la potenza etrusca toccava il suo apogeo. I Toschi e i Cartaginesi, loro stretti alleati, tenevano senza contrasto la signoria del mare Tirreno. Benchè Massalia (Marsiglia), in mezzo a continue difficili lotte, si mantenesse libera e forte, i porti del mare della Campania e del paese dei Volsci invece, e dopo la battaglia d'Alalia anche la Corsica, erano venuti in potere degli Etruschi. I figli del generale cartaginese Magone fondarono in Sardegna, colla totale conquista dell'isola, (verso l'anno 260 = 494) la grandezza della loro famiglia e al tempo stesso quella della loro patria, ed i Fenici, favoriti dalle discordie intestine delle colonie elleniche, mantenevano senza gravi difficoltà la loro signoria sulla metà occidentale della Sicilia. Le flotte etrusche signoreggiavano l'Adriatico ed i corsari toschi spargevano il terrore fin nei mari del levante.
Sembra che intorno a quei tempi la potenza degli Etruschi sia andata crescendo anche sul continente. Era per l'Etruria di massima importanza la conquista del paese latino, poichè i soli Latini si inserivano tra l'antico territorio etrusco, le città volsce che si trovavano nella clientela toscana, e i possedimenti etruschi della Campania. Il forte baluardo della potenza romana fino a quei giorni era stato sufficiente a proteggere il Lazio e a mantenere inviolato il confine del Tevere contro l'Etruria. Ma allorchè, profittando del disordine e della debolezza in cui era caduta Roma dopo la cacciata dei Tarquini, tutta la lega tosca sotto re Lars Porsena di Clusium (Chiusi) rinnovò, con maggiori forze di prima, l'aggressione, essa non vi trovò la solita resistenza; Roma fu costretta a capitolare e durante la pace non solo cedette ai limitrofi comuni toschi (dicono nel 247 = 507) tutti i possedimenti sulla riva destra del Tevere – perdendo così di fatto l'esclusivo dominio del fiume – ma consegnò anche al vincitore tutte le sue armi, e promise di non servirsi da allora in poi del ferro se non pel vomero. Pareva ormai vicino il momento in cui tutta l'Italia si sarebbe trovata riunita sotto il dominio etrusco.
Ma il servaggio, che la lega punico-etrusca minacciava ai Greci ed agli Italici, fu per fortuna dell'umanità stornato, mercè l'intimo ravvicinamento di questi due popoli, destinati a far causa comune e per l'affinità delle schiatte e per la necessità di difendersi dai medesimi nemici. L'esercito etrusco, che dopo la caduta di Roma aveva messo piede nel Lazio, trovò sotto le mura di Aricia un duro ostacolo ai vittoriosi suoi progressi nei soccorsi opportunamente giunti da Cuma, i cui abitanti accorsero in difesa degli Aricini (248 = 506). Non sappiamo come terminasse la lotta, e ignoriamo affatto se Roma fin d'allora rompesse la rovinosa e vergognosa pace; certo è che i Toschi anche questa volta non poterono stabilmente mantenersi sulla sinistra riva del Tevere.