3. Rivoluzione e fuga dei seguaci di Cinna.
I neo-cittadini accorsero in massa alla capitale per intimorire insieme ai liberti gli avversari e, occorrendo, adoperare contro essi la forza.
Ma anche il partito del governo era risoluto a non cedere; un console avversava l'altro, Gneo Ottavio era contro Cinna; tribuni contro tribuni; il giorno della votazione i due partiti si presentarono nel foro in maggioranza armati.
I tribuni del partito del senato interposero il veto; quando dalla stessa tribuna incominciarono a balenare le spade contro di loro, Ottavio usò la violenza contro i violatori.
Le sue torme armate fecero non solo sgombrare la via Sacra e il foro, ma, non badando agli ordini del loro capo, animato da sensi più umani, infuriarono crudelmente anche contro la moltitudine qui adunata.
Il foro non si vide mai, nè prima nè dopo, inondato di sangue come in questo giorno, detto «il giorno d'Ottavio».
Il numero dei cadaveri pare ascendesse a diecimila. Cinna fece un proclama agli schiavi promettendo loro la libertà se prendevano parte alla lotta; ma il suo appello fu inefficace come quello pronunciato da Mario un anno prima, e ai capi del movimento non rimase altro partito che la fuga.
Contro i promotori della congiura non si poteva procedere durante l'anno della loro carica, perchè la costituzione non ne offriva alcun mezzo. Ma un profeta, probabilmente più leale che religioso, aveva vaticinato, che il bando del console Cinna e quello dei sei tribuni del popolo con esso d'accordo, ridonerebbe al paese la pace e la quiete; e conforme, non già alla costituzione, ma a questo avviso divino degli oracoli, felicemente inventato dai conservatori, il console Cinna fu dimesso dalla sua carica con un senatoconsulto; al suo posto fu eletto Lucio Cornelio Merula e fu pronunciato il bando contro i capi fuggitivi.
La crisi sembrava dovesse finire senza altra conseguenza che l'aggiunta di alcuni individui al numero degli esiliati che già erano in Numidia.