9. Ultime lotte nel Sannio.
Ma i Sanniti pensavano diversamente. Essi si apprestavano ad una disperata difesa con quel coraggio di uomini liberi, che, se non può far violenza alla fortuna, la può fare arrossire. Allorchè i due eserciti consolari nel 460 = 294 invasero il Sannio, essi trovarono ovunque la massima resistenza; anzi Marco Atilio fu sconfitto presso Luceria e i Sanniti poterono penetrare nella Campania e devastare il territorio della colonia romana a Interamna posta sul Liri.
L'anno seguente Lucio Papirio Cursore, figlio dell'eroe immortalatosi nella prima guerra sannitica, e Spurio Carvilio, dettero presso Aquilonia una grande battaglia campale all'esercito sannitico, di cui i 16.000 dalle sopravvesti bianche formavano il fiore ed avevano giurato di preferire la morte alla fuga.
Ma l'inesorabile destino non bada nè a giuramenti nè a disperate preghiere; i Romani vinsero ed assaltarono le fortezze, nelle quali i Sanniti si erano rifugiati colle loro ricchezze. Ma persino dopo questa grave sconfitta la lega sannitica si difese per molti anni nelle sue fortezze e nelle sue montagne con una perseveranza senza esempio contro i suoi nemici, che sempre più crescevano in potenza, e riportò ancora qualche vantaggio.
Fu necessario ricorrere un'altra volta al possente braccio del vecchio Rulliano contro di essa (462 = 292), e Gavio Ponzio, forse figlio del vincitore di Caudio, riportò per il suo popolo un'ultima vittoria, che i Romani vendicarono sopra di lui facendolo morire in carcere quando poco dopo cadde prigioniero (463 = 291).
Allora l'Italia tutta si quietò, poichè la guerra promossa da Falerii nel 461 = 293 non merita nemmeno il nome di guerra. Si saranno bensì dal Sannio rivolti bramosi sguardi su Taranto, la sola che fosse ancora in grado di prestare soccorso; ma fu speranza vana; il soccorso non venne. Furono le medesime cause di prima che imposero a Taranto l'inazione; il malgoverno all'interno, e la nuova dedizione dei Lucani a Roma nell'anno 456 = 298; cui si deve aggiungere il timore non infondato dei disegni d'Agatocle da Siracusa, il quale allora trovavasi all'apogeo della sua potenza e incominciava a rivolgere i suoi pensieri verso l'Italia.
Intorno all'anno 455 = 299 egli prese ferma dimora a Corcira, di dove Cleonimo era stato scacciato da Demetrio Poliorcete e ora minacciava i Tarentini tanto dal mare Adriatico quanto dal Jonio. La cessione dell'isola a Pirro, re dell'Epiro, avvenuta nel 459 = 295, rimosse nella massima parte quelle inquietudini; ma gli affari di Corcira continuavano ad occupare la mente dei Tarentini, e come essi concorsero nell'anno 464 = 290 a difendere il re Pirro nel possesso dell'isola contro Demetrio, così Agatocle non cessava d'inquietare colla sua politica italica i Tarentini.
Morto Agatocle (465 = 289) e tramontata con lui la potenza dei Siracusani in Italia, era già troppo tardi perchè Taranto potesse opporsi ai Romani.
Il Sannio, stanco della lotta che durava da trentasette anni, aveva conchiuso la pace col console romano Manio Curio Dentato l'anno prima (464 = 290), e rinnovata, per forma, la lega con Roma. E questa volta ancora, come nella pace del 450 = 304, i Romani non imposero a quella valorosa nazione nessuna condizione ingiuriosa e umiliante, e pare che non si esigessero nemmeno cessioni di territorio. La ragion di stato dei Romani preferiva seguire la via sino allora battuta e stringere sempre più e sempre più fortemente a Roma il litorale della Campania e dell'Adriatico prima di dar forma al pensiero della conquista immediata del paese interno.
La Campania era veramente già da lungo tempo ridotta in soggezione, ma la perspicace politica dei Romani riconobbe la necessità di due nuove fortezze litoranee onde assicurarsi della costa della Campania e furono costruite Minturno e Sinuessa (459 = 295), alle cui nuove popolazioni fu accordato, secondo l'esistente massima per le colonie litorali, il pieno diritto dei cittadini romani.
Con maggiore energia si procedeva ad allargare la signoria romana sull'Italia centrale. Come la sottomissione degli Equi e degli Ernici fu l'immediata conseguenza della prima guerra sannitica, così alla fine della seconda si aggiunse quella dei Sabini.
Lo stesso capitano che alla fine soggiogò i Sanniti, Manio Curio, spezzò nello stesso anno (464 = 290) la loro breve resistenza e costrinse i Sabini ad una sottomissione definitiva. Gran parte del territorio sottomesso fu subito occupato dai vincitori e distribuito fra i cittadini romani; e agli altri comuni di Cure, Reate, Amiterno, Nursia fu imposto il diritto di sudditanza romana (civitas sine suffragio).
Non furono fondate qui nuove città federali con gli stessi diritti, ed il territorio venne posto invece sotto l'immediata sovranità di Roma, la quale così si estendeva fino all'Appennino e ai monti umbri.
Ma già questo limite non pareva sufficiente: l'ultima guerra aveva chiaramente dimostrato che la signoria romana sull'Italia centrale era possibile soltanto se andava da mare a mare.
Lo stabilirsi dei Romani al di là dell'Appennino, incominciò colla costruzione della poderosa fortezza di Hatria (Atri) nell'anno 465 = 239, prossima al mare e pietra di confine del potente cuneo che separa l'Italia settentrionale dalla meridionale.
In egual modo e di maggiore importanza fu la costruzione di Venusia (463 = 291) dove fu posto il ragguardevole contingente di 20.000 coloni. Questa città, posta ai confini tra il Sannio, l'Apulia e la Lucania, in una fortissima posizione sulla grande strada tra Taranto ed il Sannio, era destinata ad esser la Bastiglia delle popolazioni di quelle regioni, e prima di tutto ad interrompere i contatti tra i due più potenti nemici di Roma nell'Italia meridionale. Nello stesso tempo anche la strada meridionale che Appio Claudio aveva condotta fino a Capua, fu di là prolungata fino a Venusia.
Così si estese il territorio romano, chiuso e composto cioè esclusivamente di comuni di diritto romano o latino, alla fine delle guerre sannitiche: a settentrione fino alla selva Ciminia, a oriente fino agli Abruzzi, a sud fino a Capua, mentre i due posti avanzati di Luceria e di Venusia, situati ad oriente e a mezzogiorno delle linee di contatto degli avversari, lo isolavano in ogni direzione.
Roma non era ormai soltanto la prima, ma era diventata già la potenza dominante sulla penisola, allorquando sullo scorcio del quinto secolo quelle nazioni, che il favore degli dei ed il proprio valore avevano chiamato ciascuna nel proprio paese a primeggiare, cominciarono ad avvicinarsi le une alle altre e nel consiglio e sui campi di battaglia, e, come in Olimpia i vincitori delle eliminatorie si affrontavano tra loro per combattere una seconda e più seria battaglia, così ora si preparavano all'ultima e decisiva prova in una più grande arena, Cartagine, la Macedonia e Roma.