14.Società commerciali.
Una delle più importanti conseguenze dello spirito mercantile, sorto con una intensità difficilmente concepibile da coloro che non sono uomini d'affari, fu lo straordinario incremento che ne derivò allo spirito d'associazione. Questo spirito ebbe in Roma il maggiore stimolo dal sistema più volte ricordato, adottato dal governo, di servirsi di mediatori pel disimpegno dei propri interessi; poichè, data la importanza di simili imprese, era ben naturale che questi appalti e queste somministrazioni, per maggior sicurezza, si assumessero, e dovessero assumersi, non già da singoli capitalisti, ma da società di capitalisti. Sul modello di queste imprese si organizzò tutto il commercio all'ingrosso.
Si trovano persino tracce che anche presso i Romani, tra le società concorrenti, si tenessero di quelle riunioni, così caratteristiche pel sistema d'associazione, per intendersi sui prezzi del monopolio[16].
Questo spirito d'associazione, particolarmente negli affari commerciali d'oltremare ed in quelli intrapresi con grave rischio e pericolo, prese una tale estensione, da essere praticamente pareggiato alle società di assicurazioni che non erano conosciute dagli antichi.
Nulla era più comune che il cosiddetto prestito marittimo, per cui il rischio ed il guadagno del commercio di oltremare si divideva in proporzione fra i proprietari delle navi e del carico ed i capitalisti che avevano somministrato il denaro necessario per la spedizione.
Era però, in generale, massima dei Romani interessarsi piuttosto contemporaneamente in parecchie speculazioni con piccole carature, che non speculare indipendentemente per proprio conto.
Catone consigliava il capitalista a non equipaggiare col proprio denaro una sola nave, ma di equipaggiarne cinquanta insieme con altri quarantanove capitalisti, interessandosi così, nella speculazione di ognuna, per una cinquantesima parte.
La maggiore complicazione introdotta così nella trattazione degli affari era superata dal mercante romano coll'esemplare sua operosità, e col sistema di servirsi di schiavi e di liberti, che, considerato dal punto di vista del semplice capitalista, era preferibile al nostro sistema delle banche.
Queste associazioni mercantili, colle centuplicate loro ramificazioni, esercitavano in tal modo una grande influenza sull'economia di ogni romano di distinzione.
Secondo quanto dice Polibio, non v'era a Roma alcun uomo danaroso, il quale, apertamente o segretamente, non fosse interessato negli appalti dello stato; ed è quindi tanto più verosimile che ciascuno impiegasse una parte ragguardevole dei propri capitali nelle associazioni commerciali.
Su queste basi si fonda la durata delle ricchezze dei Romani, la quale desta maggior meraviglia che non l'entità delle medesime.
Il fatto, già altre volte notato, ed unico forse nel suo genere, che le grandi famiglie romane, per molti secoli, durarono nelle medesime condizioni, trova la sua spiegazione nei principî alquanto ristretti, ma solidi, dell'impiego dei capitali.