4. Rottura tra Pompeo e l'aristocrazia.
Quando arrivò l'emissario inviato da Pompeo le cose stavano a questo punto.
L'aristocrazia non solo considerava le proposte avanzate da Nepote in favore di Pompeo come una dichiarazione di guerra fatta alla vigente costituzione, ma le trattò anche pubblicamente come tali e non si diede il minimo pensiero di celare i suoi timori ed il suo sdegno. Con la manifesta intenzione di combattere le accennate proposte Marco Catone si fece eleggere tribuno del popolo con Nepote e respinse bruscamente il ripetuto tentativo fatto da Pompeo per avvicinarglisi personalmente.
È naturale che Nepote dopo ciò non si trovasse spinto a risparmiare l'aristocrazia, e che perciò si accostasse tantopiù volentieri al democratici, inquanto questi, pieghevoli come sempre, si adattarono alla necessità, acconsentendo a concedere spontaneamente a Pompeo la carica di console e di supremo duce in Italia piuttosto di lasciarsela estorcere colla forza delle armi.
Non tardò a manifestarsi l'intelligenza cordiale. Nepote dichiarò pubblicamente (dicembre 691 = 63) di appartenere al partito democratico, che condannava come assassinî illegali, contrari alla costituzione, le ultime esecuzioni capitali votate dalla maggioranza del senato, e che anche il suo signore e padrone non le considerasse diversamente lo dimostrava il suo significativo silenzio verso la voluminosa difesa scritta inviatagli da Cicerone.
D'altra parte il primo atto con cui Cesare iniziò la sua pretura fu quello d'invitare Quinto Catulo a rendere conto del denaro che si diceva avesse trafugato nella ricostruzione del tempio capitolino, affidando la cura dell'ultimazione del tempio a Pompeo.
Questo fu un tratto da maestro. Catulo avea ormai impiegato sedici anni nella ricostruzione del tempio, e sembrava che volesse rimanere tutta la sua vita nell'impiego d'ispettore capo delle costruzioni del capitolino; un attacco contro questo abuso di un pubblico incarico, coperto soltanto dalla considerazione di cui godeva il nobile incaricato, era in sè perfettamente giustificato, e immensamente popolare. Ma mentre con esso si apriva a Pompeo la prospettiva di fare incidere il suo nome al posto di quello di Catulo nel luogo più superbo della prima città della terra, gli veniva offerto ciò che più maggiormente lo lusingava e che non era dannoso alla democrazia, cioè splendide benchè vane onorificenze e in pari tempo lo si inimicava in sommo grado con l'aristocrazia, la quale non poteva assolutamente lasciar cadere il suo miglior campione.
Nepote aveva intanto avanzato presso i cittadini le proposte riferibili a Pompeo. Venuto il giorno della votazione Catone ed il suo amico e collega Quinto Minucio interposero il loro veto. Siccome Nepote non se ne curava e continuava la sua lettura, si venne addirittura alle mani; Catone e Minucio si gettarono sul loro collega e lo costrinsero a sospendere la lettura; una schiera armata veramente lo liberò, e cacciò dal foro la frazione aristocratica; ma Catone e Minucio ritornarono anche essi accompagnati da gente armata e tennero infine il campo di battaglia per il governo.
Incoraggiato dalla vittoria riportata dalla sua banda su quella dell'avversario, il senato sospese dalle loro cariche il tribuno Nepote ed il pretore Cesare, che aveva appoggiato con tutte le sue forze il tribuno nella sua proposta; la deposizione, proposta in senato, fu impedita da Catone più perchè contraria alla costituzione che per la sua sconvenienza.
Cesare non si curò del decreto del senato e continuò nell'esercizio della sua carica finchè il senato impiegò la forza contro di lui. Appena lo si seppe, la moltitudine si affollò alla sua porta mettendosi a sua disposizione; dipendeva ora da lui di far cominciare la lotta in strada o almeno di far riassumere le proposte di Metello e di procurare a Pompeo il desiderato comando militare in Italia; ma ciò non entrava nel suo interesse e quindi indusse il popolo a disperdersi; in seguito di che il senato ritirò la punizione inflittagli.
Nepote aveva lasciata la città subito dopo la sua sospensione, imbarcandosi per l'Asia, per riferire a Pompeo l'esito della sua missione.