4.Tentata coalizione contro Roma.
Non così favorevoli erano le relazioni con l'estero.
Era naturale che la Macedonia riesumasse ora i piani di Annibale e d'Antioco, e tentasse di mettersi alla testa di una coalizione di tutti gli stati oppressi contro la supremazia di Roma; e, di fatti, dalla corte di Pidna partivano le fila in tutte le direzioni.
Ma il successo fu meschino. Pur ritenendosi che la fedeltà dei popoli italici verso Roma vacillasse, nessuno, fosse amico o nemico, poteva illudersi che fosse possibile una ripresa della guerra sannitica. Le conferenze notturne degli inviati macedoni col senato Cartaginese, denunziate da Massinissa a Roma, non potevano spaventare uomini seri e avveduti, quand'anche non fossero state – come è probabilissimo – inventate.
La corte macedone cercò di attrarre nel suo piano i re della Siria e della Bitinia col mezzo di matrimoni reciproci; ma da questi sforzi non s'ottenne altro risultato che quello di vedere prostituita, una volta di più, l'immortale ingenuità della diplomazia di voler conquistare paesi col mezzo di matrimoni di corte.
Qualsiasi tentativo per guadagnare Eumene sarebbe stato ridicolo, e perciò gli agenti di Perseo l'avrebbero spacciato volentieri presso Delfo al suo ritorno da Roma, dove egli aveva brigato contro la Macedonia; ma il bel disegno andò fallito.
Di maggiore importanza furono gli sforzi fatti per sollevare contro Roma i barbari settentrionali e gli Elleni.
Filippo aveva concepito il piano di distruggere gli antichi nemici della Macedonia, i Dardani (nell'attuale Serbia) col mezzo d'un altro sciame di barbari ancora più selvaggi, provenienti dalla riva sinistra del Danubio e di origine germanica, chiamati Bastarni; poi, d'accordo con questi e con tutti gli altri popoli messi così in movimento, rovesciarsi come una valanga sull'Italia, penetrando per la via di terra nella valle padana, per il quale scopo aveva già fatto esplorare i valichi delle Alpi: progetto veramente grandioso e degno di Annibale, e suggerito indubbiamente dal passaggio delle Alpi di questo grande capitano.
È assai probabile che questo piano abbia spinto i Romani alla fondazione della fortezza di Aquileia, avvenuta appunto negli ultimi anni di Filippo (573=181), e che non armonizza col sistema seguito comunemente dai Romani nell'edificare le loro fortezze in Italia.
Ma il piano andò fallito di fronte alla disperata resistenza dei Dardani e delle popolazioni dei paesi vicini; i Bastarni furono costretti a ritirarsi, e nella ritirata l'intera orda affogò nel Danubio a cagione della rottura dei ghiacci.
Il re tentò allora di estendere la sua influenza almeno fra i capi del paese illirico, della attuale Dalmazia e della Albania settentrionale, e l'assassinio proditorio di uno di essi per nome Artetauro, reo di tenere fedelmente per i Romani, non fu compiuto certamente all'insaputa di Perseo.
Il più ragguardevole di questi capi, Genzio, figlio ed erede di Pleurato, era, come Artetauro, nominalmente alleato di Roma; ma gli ambasciatori di Issa, città greca in una delle isole della Dalmazia, riferirono al senato che il re Perseo se la intendeva segretamente col giovane principe, debole e dedito al vino, i cui inviati a Roma servivano da spie a Perseo.
Nei paesi posti all'oriente della Macedonia verso il Danubio inferiore era strettamente unito con Perseo il più possente tra i capi della Tracia, il savio e valoroso Coti, principe degli Odrisii e signore di tutta la Tracia orientale, dal confine macedone sull'Ebro (Maritza) sino alle coste, cosparse di città greche.
Degli altri capi secondari che tenevano pei Romani, uno, Abrupoli, principe dei Sagei, fu sconfitto da Perseo e scacciato dal paese in seguito ad una scorreria fatta verso Anfipoli (sullo Strimone). Da questo paese Filippo aveva levato molti coloni; e quivi era sempre grande abbondanza di mercenari.
In mezzo alla sventurata nazione greca, da Filippo e da Perseo si conduceva, molto prima della dichiarazione di guerra contro Roma, con molto ardore, una specie di guerra di propaganda, procurando di trarre nell'orbita della Macedonia da un lato il partito nazionale, dall'altro, mi si permetta la parola, il partito comunista.
Che allora tutto il partito nazionale greco, tanto in Asia quanto in Europa, fosse in cuor suo favorevole alla Macedonia, era più che naturale, non tanto per le singole ingiustizie commesse dai liberatori romani, quanto perchè il ristabilimento della nazionalità greca per mezzo d'una potenza straniera era una contraddizione, ed ora, benchè troppo tardi, tutti s'accorgevano che il peggiore governo dei re macedoni era, per la Grecia, meno disastroso che una libera costituzione concessa colle più nobili intenzioni dai più onorevoli stranieri.
Era quindi naturale, che i più valenti e i più onesti in tutta la Grecia fossero ostili ai Romani, ai quali non poteva rimanere devota che la vile aristocrazia e pochi fra gli onesti, che non s'illudevano sulla situazione e sull'avvenire della nazione.
Più di tutti ebbe a provare ciò, dolorosamente, Eumene da Pergamo, il promotore di quella libertà straniera tra i Greci; invano egli si sforzava di trattare con ogni sorta di riguardi le città a lui soggette; invano andava egli mendicando con belle parole e coll'oro, di suono ancora più grato, il favore dei comuni e delle assemblee; egli dovette apprendere come i suoi doni venissero respinti, come anzi un bel giorno, per deliberazione dell'assemblea, fossero state fatte a pezzi in tutto il Peloponneso le statue che gli erano state erette, e fossero fuse le tavole d'onore (584=170), mentre il nome di Perseo era su tutte le labbra; mentre quegli stati stessi che più recisamente s'erano un tempo pronunciati contro la Macedonia, come per esempio gli Achei, stavano deliberando sulla soppressione delle leggi emanate contro quello stato; mentre Bisanzio, benchè posta entro il regno di Pergamo, si volgeva per aiuto e difesa contro i Traci non ad Eumene ma a Perseo e l'otteneva; mentre anche la città di Lampsaco sull'Ellesponto si stringeva al Macedone e i potenti e assennati Rodioti – non potendo le navi da guerra della Siria mostrarsi nell'Egeo – scortavano da Antiochia la sposa al re Perseo con tutta la magnifica loro flotta, ritornandosene carichi di onori e di ricchi doni, particolarmente in legname da costruzioni navali; mentre infine, commissari delle città asiatiche, suddite di Eumene, tenevano segrete conferenze in Samotracia con inviati della Macedonia.
Questa spedizione della flotta rodiota parve per lo meno una dimostrazione; e lo fu, certamente, quella dell'essersi Perseo, sotto pretesto di una cerimonia religiosa, mostrato ai Greci presso Delfo con tutto il suo esercito.
Che il re per questa guerra facesse assegnamento su codesta propaganda nazionale, era cosa naturale; fu però cosa indegna approfittare della terribile rovina economica della Grecia per stringere alla Macedonia tutti coloro che desideravano un sovvertimento del diritto di proprietà e la cancellazione dei debiti.
È difficile farsi una giusta idea dello straordinario indebitamento dei comuni e dei privati nella Grecia europea, ad eccezione del Peloponneso, che sotto questo rapporto era un po' meglio regolato. Avveniva persino che una città aggredisse e saccheggiasse l'altra solo per denaro; così gli Ateniesi saccheggiarono Oropo. Presso gli Etoli, i Perrebei e i Tessali, tra possidenti e nullatenenti si venne a vere battaglie.
Non occorre dire che in queste circostanze si commettevano i più orrendi misfatti; così dagli Etoli fu proclamata una generale amnistia e conclusa una nuova pace generale col solo intento di far rientrare un gran numero di emigrati ed assassinarli. I Romani tentarono di farsi mediatori, ma i loro ambasciatori ritornarono senza aver nulla conchiuso, e riferirono che i due partiti erano ugualmente malvagi e che l'esasperazione non poteva venire calmata.
Non v'era difatti altro rimedio che quello di ricorrere al magistrato o al carnefice; il sentimentalismo ellenico diveniva ora tanto orribile quanto in principio era stato ridicolo.
Perseo stimò bene di fare suo questo partito (se pure tale poteva chiamarsi, trattandosi di gente che nulla aveva da perdere e meno di tutto un nome onorato), e non solo emanò disposizioni favorevoli ai Macedoni falliti, ma fece affiggere proclami a Larissa, a Delfo e a Delo, con i quali invitava tutti i Greci emigrati per ragioni politiche, o per delitti, o per debiti, a recarsi in Macedonia per essere riammessi in pieno possesso dei loro antichi onori e dei loro beni.
Che vi accorressero non era da dubitare, come non vi era dubbio che in tutta la Grecia settentrionale la rivoluzione sociale latente ora deflagrasse in aperto incendio, e il così detto partito social-nazionale si rivolgesse a Perseo per aiuti. Se la nazionalità greca doveva essere salvata con tali mezzi, con tutto il rispetto per Sofocle e per Fidia, ci dobbiamo domandare se lo scopo fosse degno del prezzo.