SESTO CAPITOLO
ASSOGGETTAMENTO DELL'OCCIDENTE
1. Romanizzazione dell'occidente.
Se dalla meschina monotonia dell'egoismo politico, che combatteva le sue battaglie nel senato e nelle vie della capitale, il filo della storia riprende a trattare di cose più importanti di quello che non sia di sapere se il primo monarca di Roma si chiamerà Gneo, Caio o Marco, sarà ben permesso, giunti alla vigilia di un avvenimento, le cui conseguenze dominano ancora oggi i destini del mondo, di dare per un momento uno sguardo attorno e di notare la connessione, nella quale nel concetto storico-universale si devono considerare la conquista della Francia attuale fatta dai Romani e i primi rapporti di costoro cogli abitanti della Germania e della Gran Bretagna.
In forza della legge, per la quale un popolo sviluppato a forma di stato assorbe i vicini che sono ancora minorenni, ed il popolo incivilito quei popoli che si trovano ancora nell'infanzia intellettuale, legge che è universale e naturale come la legge di gravità, la nazione italica, l'unica fra le antiche che seppe combinare insieme uno svolgimento politico superiore ed una civiltà superiore benchè questa ultima imperfetta e solo esteriore, aveva il diritto di assoggettarsi gli stati greci dell'oriente prossimi alla rovina e di soppiantare coi coloni le popolazioni di coltura inferiore in occidente, i Libii, gli Iberi, i Celti e i Germani.
L'aristocrazia romana aveva portato a buon fine le condizioni preliminari di questo còmpito: l'unificazione d'Italia; essa non assolse il còmpito stesso, ma considerò sempre le conquiste fuori d'Italia, o soltanto come un male necessario, od anche come possedimenti da rendita posti fuori dello stato.
È una gloria imperitura della democrazia ossia della monarchia romana – poichè formano una cosa sola – che essa abbia ben compreso questo supremo scopo e che l'abbia messo in pratica con energia.
Ciò che l'irresistibile forza delle circostanze aveva predisposto col mezzo del senato, il quale suo malgrado aveva gettato le fondamenta della futura signoria romana in occidente e in oriente – e ciò comprese poi come per istinto l'emigrazione romana nelle province, considerata come una calamità, ma che nelle province occidentali si presentava però anche come foriera di una coltura più elevata – ha riconosciuto con chiarezza ed ha con sicurezza da vero uomo di stato cominciato a mettere in pratica il creatore della democrazia romana, Caio Gracco.
I due pensieri capitali della nuova politica – annettere il territorio su cui si estendeva il potere di Roma in quanto era ellenico, e colonizzarlo in quanto non era ellenico – erano stati praticamente riconosciuti colla riunione del regno di Attalo e colle conquiste transalpine di Flacco sino dai tempi di Gracco; ma la vittoriosa reazione li aveva lasciati di nuovo intristire.
Lo stato romano rimase una massa di paesi malmenati senza una compatta occupazione e senza convenienti confini; la Spagna ed i possedimenti greco-asiatici erano paesi separati dalla madre patria da territori soggetti ai Romani appena nei contorni del loro litorale; nelle coste settentrionali dell'Africa erano occupati come isole soltanto i territori di Cartagine e Cirene, e persino ragguardevoli tratti del territorio soggetti, specialmente della Spagna, dipendevano da Roma solo di nome; dal governo poi non si faceva assolutamente nulla per centralizzare il dominio e finalmente l'abbandono in cui si lasciava la flotta, sembrava sciogliere l'ultimo legame coi possedimenti lontani.
La democrazia tentò, appena potè rialzare la testa, d'informare anche la politica estera allo spirito di Gracco, e specialmente Mario ebbe tali idee; ma non essendo rimasta a lungo al potere, la cosa rimase allo stato di progetto. Solo quando, colla caduta della costituzione di Silla nel 684 = 70, la democrazia afferrò di fatto il timone del governo, avvenne anche sotto questo aspetto un rivolgimento.
Anzitutto fu ripristinata la signoria sul Mediterraneo, prima questione vitale per uno stato come il romano. Verso oriente fu assicurato il confine dell'Eufrate coll'assorbimento delle province pontiche e siriache.