14. Dopo il primo anno di guerra.
Trascorse così il primo difficile anno di guerra lasciando di sè tristi memorie militari e politiche e poco liete speranze per lo avvenire.
I due eserciti romani, il marsico e il campano, erano stati militarmente indeboliti e scoraggiati da gravi sconfitte, il settentrionale obbligato anzitutto a provvedere alla sicurezza della capitale, il meridionale nelle vicinanze di Napoli seriamente minacciato di vedere interrotte le sue comunicazioni, potendo gli insorti senza molta difficoltà irrompere dal territorio marsico o dal sannitico e stabilirsi di piè fermo tra Roma e Napoli; perciò si credette necessario tirare almeno un cordone di posti militari da Cuma a Roma.
Durante questo primo anno l'insurrezione aveva politicamente guadagnato terreno in tutte le direzioni; la defezione di Nola, la rapida capitolazione della forte ed importante colonia latina di Venosa, l'insurrezione umbro-etrusca, erano gravi indizi che la simmachia romana vacillava, nè era in grado di sostenere questa tremenda prova.
La borghesia era già stata obbligata a sforzi estremi, per formare l'accennato cordone di posti militari sulla costa latino-campana; già erano stati chiamati circa 6000 liberti ad ingrossare le file della milizia cittadina e imposti i più gravi sacrifici ai federali rimasti fedeli; era impossibile tendere maggiormente la corda dell'arco senza pericolo di vederla spezzata.
Lo spirito della borghesia era oltre ogni dire abbattuto.
Quando dopo la battaglia sulle rive del Toleno furono trasportati dal campo alla capitale per esservi sepolti i cadaveri del console e dei molti distinti cittadini caduti, quando i magistrati in segno di lutto pubblico deposero la porpora e i distintivi d'onore, e dal governo fu emanato un ordine agli abitanti della capitale di accorrere in massa sotto le armi, molti si abbandonarono allo scoraggiamento dando perduta ogni cosa.
Dopo le vittorie riportate da Cesare presso Acerra e da Strabone nel Piceno, tale stato d'animo si era attenuato; alla notizia della prima i cittadini della capitale mutarono di nuovo la veste di guerra in quella cittadina; alla notizia della seconda smisero i simboli del lutto universale; ma era certo che in generale i Romani in questa campagna avevano avuto la peggio e, ciò che più importava, era scomparso nel senato e nella borghesia quello spirito, che attraverso i difficili tempi d'Annibale aveva sostenuto e condotto i Romani alla vittoria. Veramente i Romani cominciarono la guerra colla baldanzosa sicurezza d'allora; ma non si seppe condurla a termine collo stesso ardire; l'inflessibile fermezza, il tenace proposito, avevano ceduto il posto all'esitazione e alla debolezza.
Già dopo il primo anno di guerra la politica esterna ed interna si era mutata d'un tratto inclinando alla transazione. Questo era certo il partito migliore che i Romani potessero abbracciare; ma non perchè costretti dall'incalzante forza delle armi essi non potessero sottrarsi a condizioni dannose, ma perchè la causa del loro conflitto, la perpetuazione della loro supremazia politica sugli altri Italici, era piuttosto di danno che di vantaggio alla stessa repubblica.
Nella vita degli stati avviene che un errore sia compenso ad un altro; il danno, in questo caso, causato dalla ostinatezza, fu in qualche modo riparato dalla codardia.