4. Importanza politica della riforma.
Questa completa rivoluzione nell'ordinamento dell'esercito romano non sembra derivata in sostanza da motivi politici, ma da motivi puramente militari, e sembra essere stata in generale, piuttosto che l'opera di un singolo individuo e meno ancora quella di uno scaltro ambizioso, la caduta, sotto l'urto dei tempi, di istituzioni divenute insostenibili.
Non è inverosimile, che l'istituzione del sistema dell'arruolamento interno, per opera di Mario, abbia militarmente salvato lo stato dalla rovina, come alcuni secoli più tardi Arbogaste e Stilicone, coll'introduzione del sistema d'arruolamento estero, ne prolungarono l'esistenza ancora per qualche tempo.
Ciò che non pertanto si doveva ravvisare in questo sistema, benchè non ancora svolta, era una completa rivoluzione politica.
La costituzione repubblicana voleva essenzialmente che ogni cittadino fosse insieme soldato, che ogni soldato prima di tutto fosse cittadino; e così la Repubblica assumeva le forme d'uno stato militare. A ciò doveva condurre il nuovo regolamento per gli esercizi militari, colla sua pratica tolta dallo schermidore. La milizia divenne quindi a poco a poco un mestiere.
Maggiori conseguenze ebbe l'arruolamento, sia pure limitato, dei proletari, specialmente rispetto alle antichissime norme che assegnavano al generale un diritto arbitrario, solo compatibile con saldissime istituzioni repubblicane, di compensare i suoi soldati, e davano ai soldati fortunati e valorosi una specie di diritto di pretendere dal generale una parte del bottino mobile e dallo stato una porzione di suolo conquistato.
Se il cittadino coscritto e il contadino non ravvisavano nel servizio militare altro che un peso assunto pel bene comune, e nei vantaggi derivanti dalla guerra null'altro che un tenue compenso alla perdita molto maggiore derivata loro dal servizio prestato, il proletario, invece, assunto nell'esercito, non solo vedeva legata al soldo la sua esistenza, ma doveva desiderare di rimanere sotto le insegne e di non abbandonarle se non sicuro di un'esistenza cittadina, giacchè licenziato non l'accoglieva nè un ospizio per gli invalidi, nè uno per i poveri. Sua sola patria era il campo, sua sola scienza la guerra, sua sola speranza il generale – che cosa fosse tutto ciò è facile indovinare.
Allorchè Mario dopo la giornata sui Campi Raudi, concesse per il loro valore, a due intere coorti di alleati italici, incostituzionalmente, il diritto di cittadinanza, egli giustificò poi questo atto, dicendo che tra lo strepito delle armi non aveva potuto udire la voce delle leggi.
Chi mai avrebbe potuto star garante che, se in questioni di maggiore importanza l'interesse del generale si fosse per caso accordato con quello dell'esercito nel volere alcuna cosa contraria alla costituzione, ben altre leggi non fossero per nascere in mezzo allo strepito delle armi?
Vi era un esercito permanente, lo stato militare, la guardia; come per la costituzione cittadina così erano già pronte le basi della costituzione militare per la futura monarchia; nulla più mancava tranne il monarca. Come le dodici aquile che si librarono a volo sul Palatino presagirono il periodo dei re, l'aquila concessa da Caio Mario alle legioni annunziò il regno dei Cesari.