10.Modo di comporre dei commediografi romani.
Il rimpasto, che traduttori romani dovevano fare degli originali greci per adattarli al loro pubblico, li costringeva a togliere o a rifondere intere parti, di modo che riusciva loro impossibile ottenere un risultato artistico.
Ordinariamente, non solo si eliminavano parti intere dell'originale, ma se ne sostituivano altre tratte da commedie diverse del medesimo o d'altro poeta; cosa che, data la forma razionale degli originali ed i loro personaggi permanenti ed i temi, non riusciva tanto male quanto potrebbe supporsi.
I poeti, almeno quelli degli ultimi tempi, si prendevano d'altra parte, relativamente alla composizione, le più strane licenze.
L'azione del tanto celebrato Stichus (rappresentato nel 554=200), consiste in due sorelle, che il padre vorrebbe decidere a separarsi dai loro mariti assenti, e che fanno le Penelopi fintanto che i mariti ritornano alle loro case con ricchezze raccolte nel commercio e con una bella ragazza che recano in dono al padre.
Nella Casina, che fu accolta dal pubblico con particolare favore, non si vede comparire la sposa, da cui la commedia piglia il titolo e sulla quale si aggira l'azione, e la conclusione è semplicemente raccontata nell'epilogo, come cosa che avverrà più tardi.
Generalmente accade spesso che, ingarbugliandosi l'azione, la s'interrompa bruscamente e si lasci cadere un racconto incominciato, segni questi di un'arte non ancora giunta a perfezione.
La causa è attribuita molto più all'indifferenza del pubblico romano per le leggi estetiche che non alla mancanza di abilità dei traduttori romani.
Ma il buon gusto si andava formando a poco a poco.
Nelle commedie scritte in seguito, Plauto impiegò evidentemente maggior cura nella composizione, e si può dire che, per esempio, i Captivi, lo Pseudolus e le Bacchides sono nel loro genere trattate con mano maestra. Cecilio, che viene dopo Plauto, di cui non abbiamo più alcuna opera, è particolarmente lodato pel modo più artistico di svolgere il soggetto. Gli sforzi che faceva il poeta per mettere possibilmente sott'occhio ai suoi uditori romani le cose, e le prescrizioni della polizia, che le voleva rappresentate come accadute fuori dello stato, producevano, nel trattamento dei particolari, i più singolari contrasti.
Gli dei di Roma, i termini rituali, militari e legali dei Romani, suonano stranamente nel mondo greco, si mescolano confusamente gl'idoli ed i triumviri romani cogli agoranomi ed i demarchi: soggetti che si svolgono nell'Etolia od in Epidamno, vengono trasportati senz'altro al Velabro ed al Campidoglio.
Già una tale composizione in forma di mosaico, con le tinte locali romane su fondo greco, può considerarsi cosa barbara; ma queste interpolazioni, nello schietto loro genere, spesso comicissime, sono molto più tollerabili che la trasformazione totale delle commedie in quella forma rozza che ai poeti parve necessaria, poichè la coltura del loro pubblico era lungi dalla coltura attica.
È ben vero che tra i nuovi poeti attici alcuni non hanno bisogno di essere aiutati nella grossolanità; commedie come l'Asinaria di Plauto non devono la loro insormontabile scipitezza e trivialità solo alla traduzione.
Ma nelle commedie romane prevalgono i rozzi episodi in modo da dedurne che i traduttori devono essere stati obbligati ad interpolarveli, anche in parte creandoli.
Nella infinita abbondanza di bastonate e nella frusta sempre sospesa sulla schiena degli schiavi, si riconosce con evidenza il regime domestico di Catone, e così la sua opposizione contro le donne, nel continuo biasimo alle mogli.
Fra le celie di propria invenzione, colle quali i poeti romani stimavano condire l'elegante dialogo attico, se ne trovano alcune di incredibile grossolanità e scipitezza[16].
Invece riguardo alla metrica, il verso flessibile e sonoro onora, in genere, i traduttori. Il fatto che i trimetri giambici, predominanti negli originali, e che soli erano adatti al moderato loro tono di conversare, furono spesso rimpiazzati, nella traduzione latina, da tetrametri giambici o trocaici, non si deve attribuire tanto a mancanza di abilità nei traduttori, che sapevano benissimo trattare il trimetro, quanto al poco buon gusto del pubblico romano, al quale piaceva la sonora magnificenza del verso lungo anche dove non era necessario.