5.Il dramma e il pubblico.
Tanto rispetto all'estensione della produzione, quanto rispetto all'influenza sul pubblico, era il dramma che prevaleva nello sviluppo poetico. Ai tempi antichi un teatro permanente con entrate a prezzo fisso non esisteva.
Così in Grecia come in Roma, lo spettacolo teatrale era una parte integrante delle feste popolari che ricorrevano ogni anno o che si davano in casi straordinari.
Fra le misure con le quali il governo faceva opposizione, o s'immaginava di opporsi, al soverchiante moltiplicarsi delle feste popolari, di cui a ragione temeva le conseguenze, vi era il rifiuto di permettere che si costruisse un teatro in muratura[6].
Invece del teatro stabile si erigeva, ad ogni festa, un palco di assi con una scena per gli attori (proscenium, pulpitum) e con un fondo decorato (scena) e un semicircolo innanzi al quale s'alzava una platea per gli spettatori (cavea), la quale, senza gradini e senza sedili, si riduceva ad un piano inclinato, di modo che gli spettatori, se non si portavano delle seggiole o si accoccolavano, o si sdraiavano, o stavano in piedi[7].
Pare che le donne fossero, sin dai primi tempi, tenute separate dagli uomini, e che ad esse fossero assegnati i più alti e peggiori posti.
Fino al 560=194 i posti non erano distinti, per legge: dopo, come abbiamo già notato, furono riservati ai senatori i più bassi e migliori.
Il pubblico era tutt'altro che un pubblico scelto.
È vero, però, che le classi alte non si astenevano di intervenire ai pubblici trattenimenti popolari, e i senatori si ritenevano persino obbligati, per sostenere il loro decoro di mostrarvisi.
Ma, com'è naturale, in una festa politica, erano esclusi dal teatro gli schiavi e così anche i forestieri, però si concedeva l'ingresso gratuito ad ogni cittadino, alla moglie ed ai figli[8] e gli spettatori non furono certo diversi da quelli che si vedono oggi ai pubblici spettacoli pirotecnici e alle rappresentazioni gratuite.
Naturalmente le cose non procedevano con molto ordine; i fanciulli gridavano, le donne chiacchieravano e strillavano, e talvolta una sgualdrina tentava d'introdursi sulla scena; i vigili, in quei giorni, non erano in festa ed avevano frequenti occasioni di sequestrare mantelli e di usare la verga.
Coll'introduzione del dramma greco crebbero le pretese degli artisti, e pare che non ve ne fosse abbondanza; una volta si dovette ricorrere a dilettanti per rappresentare un dramma di Nevio.
Ma con tutto ciò la condizione dell'artista non cambiò: il poeta, o come questi veniva chiamato in quel tempo, lo «scrivano», l'attore ed il compositore appartenevano, prima e dopo, non solo alla classe poco stimata dei mercenari, ma erano anche, prima e dopo, tenuti in poco conto dal pubblico e maltrattati dalla polizia, e perciò, chi voleva conservarsi una buona riputazione, si teneva lontano da questa professione.
Il direttore della compagnia (dominus grecis, factionis ed anche choragus), al tempo stesso anche capocomico, era per lo più un liberto e i componenti la compagnia erano suoi schiavi; i compositori i cui nomi sono pervenuti a noi, sono tutti schiavi.
La mercede non solo era assai tenue – l'onorario di un poeta teatrale, 8000 sesterzi (lire 2145), è giudicato poco dopo la fine di questo periodo, come insolitamente alto – ma era inoltre pagata dall'impresario delle feste soltanto se lo spettacolo piaceva.
E tutto finiva col pagamento: le gare di poeti ed il premio d'onore, come nell'Attica, non si conoscevano ancora a Roma; pare che in questo tempo si usasse solo applaudire o fischiare come si usa ora e che non si facesse rappresentare più di un dramma al giorno[9]. In tali circostanze, in cui l'arte era esercitata a prezzo di giornata, e in cui l'artista invece di ricevere onori raccoglieva vergogna, il nuovo teatro nazionale romano non poteva svilupparsi coi propri originali elementi e neppure con elementi artistici in generale; e mentre la generosa gara dei giovani ateniesi aveva dato vita al dramma attico, il teatro romano, in generale, non poteva diventare altro che una brutta copia; e desta anche meraviglia il fatto ch'esso abbia potuto avere ancora tanta grazia e tanto spirito in alcune sue particolarità.