12 . Ripresa della guerra.
Intanto era venuta la primavera del 554=200 e la guerra era ricominciata.
Filippo si gettò nuovamente sulla Tracia, dove occupò tutte le città della costa e particolarmente Maronea, Eno, Eleo e Sesto per mettere al sicuro i suoi possedimenti europei contro uno sbarco dei Romani. Attaccò poscia Abido sulla riva asiatica, l'occupazione della quale era per lui di non poca importanza, perchè, disponendo di Sesto e di Abido, egli si trovava in più stretta relazione col suo alleato Antioco, e non aveva più da temere che la flotta degli alleati gli intercettasse la via per l'Asia minore.
Questa flotta, dopo che se n'era ritirata la più grande squadra macedone, dominava il mare Egeo.
Nelle sue operazioni marittime, Filippo si limitò a tener guarnigione nelle tre Cicladi, Andro, Citno e Paro, e ad armare bastimenti corsari.
I Rodioti si recarono a Chio, di là a Tenedo, dove Attalo, il quale aveva svernato presso Egina dilettandosi ad udire le declamazioni degli Ateniesi, si unì ad essi colla sua squadra.
Gli alleati sarebbero stati ancora in tempo ad accorrere in aiuto degli abitanti d'Abido, i quali si difendevano da eroi; ma nessuno si mosse e la città fu quindi costretta ad arrendersi dopo che quasi tutti gli uomini atti alle armi erano caduti combattendo sotto le mura della città.
Dopo la capitolazione una gran parte degli abitanti si diede volontariamente la morte – la clemenza del vincitore lasciò al resto degli abitanti tre giorni di tempo per morire di propria mano.
Nel campo dinanzi ad Abido l'ambasciata dei Romani, che dopo ultimata la sua missione nella Siria e nell'Egitto, aveva visitato e agitato i piccoli stati greci, s'incontrò col re cui comunicò gli ordini avuti dal senato ingiungendogli che non rompesse guerra a nessuno stato greco, che restituisse i possedimenti tolti a Tolomeo e si rimettesse ad un compromesso relativamente al danno arrecato a quei di Pergamo e di Rodi.
Lo scopo del senato di trascinare il re ad una dichiarazione di guerra non fu raggiunto; l'ambasciatore romano Marco Emilio Lepido non ottenne da Filippo che la scaltra risposta di prendere egli in buona parte quanto gli aveva detto il giovane e bel messaggero romano, in grazia appunto di questi tre titoli. Nel frattempo, però, si offriva da altra parte, ai Romani, la desiderata occasione per una dichiarazione di guerra.
Nella loro sciocca e crudele vanità, gli Ateniesi avevano fatto morire due disgraziati Acarnani che per caso si erano intromessi nei loro misteri.
Allorchè gli Acarnani, naturalmente indignati, chiesero a Filippo che procurasse loro soddisfazione, questi non si potè rifiutare di dar seguito alla giusta domanda dei suoi più fedeli alleati, e permise loro di levar gente nella Macedonia e con quella e con la propria d'irrompere nell'Attica senza far precedere una formale dichiarazione di guerra.
Questa, a dir vero, non era realmente una guerra, ed oltre a ciò il comandante della schiera macedone, Nicanore, fece battere in ritirata le sue truppe (fine del 553=201) appena udì le minacciose parole degli ambasciatori romani, che si trovavano appunto in Atene. Ma era troppo tardi.
Un'ambasciata ateniese partì alla volta di Roma per dare ragguagli sull'aggressione fatta da Filippo contro un antico alleato di Roma, e dal modo come il senato l'accolse, Filippo capì quel che stava per sopraggiungergli.
Perciò egli nella primavera del 554=200 commise subito a Filocle, suo comandante supremo nella Grecia, di devastare il territorio attico e ridurre Atene possibilmente agli estremi.