La redistribuzione attraverso l’immigrazione

Un’altra forma, di per sé più pacifica, di redistribuzione e di regolazione della disuguaglianza mondiale del capitale è evidentemente l’immigrazione. Anziché spostare il capitale – il che pone ogni sorta di difficoltà –, una soluzione più semplice consiste nel lasciare che la forza lavoro si sposti verso luoghi in cui si percepiscono salari più elevati. Non è stato forse questo il grande contributo dato dagli Stati Uniti alla redistribuzione mondiale? Il paese è così passato dai 3 milioni scarsi di abitanti al momento dell’Indipendenza americana agli oltre 300 milioni di oggi, in gran parte frutto dei flussi migratori. E questo fa sì che gli Stati Uniti siano ancora ben lontani dal trasformarsi nella “vecchia Europa del pianeta” evocata nel capitolo precedente. L’immigrazione resta il grande cemento dell’America, la forza stabilizzatrice che fa sì che il capitale ereditato dal passato non abbia l’importanza che continua ad avere in Europa, la forza che rende politicamente e socialmente sopportabili le disuguaglianze più estreme di reddito da lavoro. Per una buona parte del 50% degli americani meno pagati, queste disuguaglianze passano infatti in secondo piano, per la semplice ragione che quel 50% è nato in un paese meno ricco e si colloca su una linea nettamente ascendente. Va sottolineato che il meccanismo di redistribuzione tramite l’immigrazione – una dinamica che permette a persone provenienti da paesi poveri di migliorare la loro condizione raggiungendo un paese ricco – sta interessando nel corso del primo decennio del XXI secolo tanto l’Europa quanto gli Stati Uniti, e da questo punto di vista la distinzione tra Vecchio e Nuovo Mondo sta forse perdendo gran parte della sua rilevanza.48

Inoltre va ricordato che la redistribuzione tramite immigrazione, per quanto auspicabile sia, regola solo in parte il problema delle disuguaglianze. Una volta ottenuta l’uguaglianza del prodotto e del reddito medio tra paese e paese, grazie all’immigrazione e soprattutto grazie al riallineamento della produttività conseguito dai paesi poveri rispetto ai paesi ricchi, i problemi posti dalle disuguaglianze, in particolare dalla dinamica della concentrazione dei patrimoni a livello mondiale, restano sempre quelli di prima. La redistribuzione tramite l’immigrazione non fa che spostare in avanti il problema, ma non esonera dal predisporre le regole – stato sociale, imposta progressiva sul reddito, imposta progressiva sul capitale – che sono oggi necessarie. Non è certo difficile pensare che l’immigrazione possa essere meglio accettata dalle popolazioni meno favorite dei paesi ricchi, se le istituzioni assicurano a tutti i benefici economici della globalizzazione. Mentre, se si praticano sia il libero scambio sia la libera circolazione dei capitali e delle persone, relegando nell’ombra lo Stato sociale e sopprimendo ogni imposta progressiva, è molto probabile che le tentazioni di protezionismo e di riflusso identitario diventeranno più forti che mai, in Europa come negli Stati Uniti.

Infine va sottolineato che i paesi del Sud del mondo sarebbero i primi a beneficiare di un sistema fiscale internazionale più trasparente e più equo. In Africa, i flussi di capitali in uscita superano largamente, da sempre, i flussi in entrata degli aiuti internazionali. Il fatto di avviare nei paesi ricchi i procedimenti giudiziari contro un manipolo di ex dirigenti africani con l’accusa di malversazione è sicuramente una buona cosa. Ma sarebbe ancora più utile attuare quelle collaborazioni fiscali internazionali, e le trasmissioni automatiche delle informazioni bancarie, che aiuterebbero i paesi africani a porre termine in maniera ben più sistematica e metodica al saccheggio di cui sono vittime, e di cui sono responsabili tanto le società e gli azionisti europei (di qualunque nazionalità siano) quanto le élite africane meno scrupolose. Anche in questo caso, la trasparenza finanziaria e l’imposta progressiva e mondiale sul capitale sarebbero la risposta più giusta.

1 Cfr. Parte terza, cap. 12.

2 Le nuove entrate fiscali possono essere utilizzate per ridurre i prelievi già esistenti, o meglio per finanziare altri bisogni (come gli aiuti internazionali o la riduzione del debito: torneremo sull’argomento più avanti).

3 Esistono, in tutti i continenti, istituti finanziari specializzati che svolgono la funzione di depositari centrali (custodian bank; funzione a volte ricoperta dalla camera di compensazione, clearing house), che cioè curano la tracciabilità dei titoli di proprietà immateriali emessi dalle varie società. Tuttavia il compito di queste istituzioni private è fornire un servizio alle società che emettono i titoli, e non raccogliere in uno stesso corpus tutti gli attivi detenuti da una stessa persona. Su queste istituzioni, cfr. G. Zucman, “The Missing Wealth of Nations: Are Europe and the U.S. Net Debtors or Net Creditors?”, cit.

4 Un caso classico, studiato dalla ricerca storica, è la caduta dell’impero romano, che ha comportato l’abbandono dell’imposta fondiaria imperiale, dunque dei titoli di proprietà e dei relativi documenti catastali, e che ha contribuito ad aggravare il caos economico nell’Alto Medioevo. Cfr., tra gli altri, P. Temin, The Roman Market Economy, Princeton (NJ), Princeton University Press, 2012, pp. 149-151.

5 Per questa ragione sarà utile istituire un’imposta a un tasso molto basso sul patrimonio netto delle società (il capitale proprio), assieme all’imposta a tasso più elevato sul patrimonio netto individuale. Il provvedimento obbligherebbe il potere pubblico a impegnarsi con forza sul terreno delle norme contabili, oggi lasciato alla mercé di società di contabilità private. Cfr. in proposito, N. Véron, M. Autrer, A. Galichon, L’Information financière en crise. Comptabilité et capitalisme, Paris, Odile Jacob, 2004.

6 In concreto, l’amministrazione attua una regressione cosiddetta “edonica”, calcolando cioè il prezzo di vendita in rapporto alle varie caratteristiche del bene in questione e propone un prezzo su tale base. In tutti i paesi sviluppati esistono banche dati relative alle transazioni che permettono di comportarsi allo stesso modo (esistono banche dati anche per calcolare gli indici dei prezzi immobiliari).

7 È una tentazione che si verifica in tutti i sistemi fondati sull’autodichiarazione, come per l’imposta sulla ricchezza in Francia, dove esiste sempre un numero straordinariamente basso di valori dichiarati che sia al di sopra della soglia d’imposta. Le persone interessate hanno la manifesta tendenza a diminuire leggermente, perlopiù del 10-20%, il valore dei loro beni immobiliari. La dichiarazione precompilata fornirebbe una base oggettiva fondata su dati e su un metodo chiaramente definiti, ponendo così fine a questo genere di comportamenti.

8 Stranamente, è questo sistema arcaico, fondato sulla buonafede, ad essere stato utilizzato nel 2013 dal governo francese per ottenere informazioni sui patrimoni dei propri ministri, ufficialmente allo scopo di ristabilire la reciproca fiducia dopo le dichiarazioni false di uno di loro.

9 In particolare nelle Isole del Canale, nel Liechtenstein, a Monaco ecc.

10 È difficile stimare l’entità del danno, ma è possibile che raggiunga, in paesi come il Lussemburgo o la Svizzera (o in zone franche come la City di Londra), il 10-20% del reddito nazionale, quota al tempo stesso secondaria eppure sostanziosa del loro tenore di vita. Nei paradisi fiscali esotici e nei micro-Stati, è probabile che la quota superi largamente il 50% e che in certe zone, nate solo per ospitare società fittizie conferendo loro un domicilio legale, raggiunga anche l’80-90%.

11 I contributi sociali si apparentano a una forma d’imposta dei redditi (e infatti in certi paesi vengono assimilati all’imposta sul reddito: cfr. cap. 13).

12 Cfr. in particolare cap. 12, tabella 12.1.

13 Ricordiamo la definizione classica data dall’economista inglese John Hicks del reddito in senso economico: “Il reddito di una persona o di una collettività in un dato periodo è il valore di quanto l’una o l’altra possono consumare, al massimo, nel periodo considerato disponendo alla fine del periodo della stessa ricchezza di cui disponevano all’inizio.”

14 Anche con un rendimento del 2% (molto inferiore a quello effettivamente osservato per questo patrimonio specifico nel periodo 1987-2013), il reddito economico relativo a una fortuna di 30 miliardi di euro dovrebbe essere di 600 milioni di euro e non di 5 milioni.

15 Nel caso del maggiore patrimonio francese, la difficoltà supplementare riguarda il fatto che la holding di famiglia è stata gestita dalla moglie del ministro del bilancio, a sua volta tesoriere di un partito politico beneficiario di doni rilevanti dal patrimonio in oggetto. Quello stesso partito, nel periodo in cui è stato al potere, ha ridotto a un terzo l’imposta sulla ricchezza di Liliane Bettencourt, suscitando in Francia un grosso scandalo e dimostrando, se ce ne fosse stato bisogno, che a volte i fenomeni di appropriazione indebita da parte del potere politico ricordati nel capitolo precedente superano di gran lunga il caso americano. Si aggiunga un particolare di rilievo: si tratta del ministro del bilancio che ha preceduto, nel dicastero, un ministro del partito concorrente che si è scoperto detentore di un conto segreto in Svizzera: per dire che, anche in Francia, la ricerca del profitto personale va al di là delle distinzioni politiche.

16 In sostanza, il sistema applicato in Olanda non è granché soddisfacente: prevede numerose eccezioni e categorie di attivi non soggetti all’imposta (in particolare in seno a holding di famiglia e ad altri trust funds), e il rendimento applicato viene stimato al 4% per tutti gli attivi, troppo alto per alcuni patrimoni e troppo basso per altri.

17 Il modo più logico è valutare l’insufficienza del reddito fiscale dichiarato a partire dai tassi medi di rendimento effettivamente osservati per la classe di patrimonio in questione, rendendo così possibile confrontare la coerenza del tasso d’imposta sul reddito e il tasso d’imposta sul capitale. È anche possibile pensare a tassi d’imposta minimi e massimi a seconda del reddito e del capitale.

18 La logica incentivante è al centro del libro-appello di Maurice Allais (L’Impôt sur le capital et la réforme monétaire, Paris, Éditions Hermann, 1977), libro che arriva a proporre la soppressione completa dell’imposta sul reddito e di tutte le altre imposte, e la loro integrale sostituzione con l’imposta sul capitale: il che mi sembra francamente eccessivo e poco coerente con la massa patrimoniale in gioco. Sulle proposte di Allais e i suoi sviluppi attuali, cfr. allegato tecnico. In generale, i dibattiti attorno all’imposta sul capitale si distinguono spesso per posizioni estreme (l’imposta è da rifiutare in blocco oppure da considerare come l’imposta unica destinata a sostituire tutte le altre), esattamente come il dibattito attorno all’imposta sulle successioni (a volte le successioni non si devono tassare, altre si devono tassare al 100%). Per cui mi pare urgente togliere emotività al dibattito e concedere a ciascun argomento e a ciascuno strumento fiscale il posto che merita. L’imposta sul capitale è utile, e anche indispensabile nel quadro del capitalismo patrimoniale del XXI secolo, ma non può sostituire tutto il resto.

19 La stessa cosa vale per un disoccupato che continui a pagare una tassa fondiaria gravosa (tanto più quando i mutui, generalmente non sono deducibili, con conseguenze che potrebbero rivelarsi drammatiche per una famiglia già superindebitata).

20 L’esito del compromesso dipende dal peso rispettivo degli incentivi individuali e delle crisi imprevedibili nella determinazione del rendimento da capitale. A seconda dei casi, può essere preferibile tassare i redditi da capitale meno dei redditi da lavoro (e basarsi principalmente su un’imposta sullo stock del capitale) o, viceversa, tassare di più i redditi da capitale (come è accaduto nei paesi anglosassoni fino all’inizio degli anni ottanta, in un periodo in cui i redditi da capitale erano considerati parecchio fuori norma). Cfr. T. Piketty, E. Saez, A Theory of Optimal Capital Taxation, NBER Working Paper 17989, 2012.

21 Per il semplice fatto che il valore capitalizzato dell’eredità nel corso di un’intera vita non è noto al momento della trasmissione dell’eredità stessa. Quando una persona eredita, nel 1972, un appartamento parigino del valore di 100.000 franchi, nessuno può prevedere che l’immobile potrebbe valere, nel 2013, 1 milione di euro, facendo così guadagnare, o economizzare, più di 40.000 euro l’anno di canone d’affitto. Anziché far pagare, nel 1972, un’imposta molto elevata sull’eredità, sarebbe più efficace applicare un’imposta successoria più modesta e prelevare ogni anno o una tassa fondiaria, un’imposta sugli affitti ed eventualmente un’imposta sul patrimonio, a seconda dell’aumento del valore e del rendimento del bene in questione.

22 Cfr. Piketty, Saez, A Theory of Optimal Capital Taxation, cit. Cfr. anche allegato tecnico.

23 Cfr. cap. 14, grafico 14.2.

24 Cfr. cap. 10.

25 Per esempio, per un immobile da 500.000 euro, la tassa annuale, per un valore di locazione annuo dell’ordine di 20.000 euro, sarà compreso tra 2500 e 5000 euro. In teoria, un’imposta sul capitale applicata ogni anno a un tasso del 4-5% su tutti i patrimoni arriverebbe a prelevare la quasi totalità della quota dei redditi da capitale nella composizione del reddito nazionale, il che non pare né giusto né realistico, tanto più che esistono già imposte sui redditi da capitale.

26 Nel 2013 circa il 2,5% della popolazione adulta europea dispone di un patrimonio netto superiore a 1 milione di euro, e circa lo 0,2% della popolazione dispone di un patrimonio netto superiore a 5 milioni di euro. Per un PIL di quasi 15.000 miliardi, il rendimento sarebbe di circa 300 miliardi di euro. Per una stima dettagliata e una simulazione semplificata in grado di misurare il numero di contribuenti e di introiti legati ad altri tassi possibili, cfr. allegato tecnico e tabella S5.1.

27 Il centile superiore detiene oggi circa il 25% del patrimonio totale, ossia circa il 125% del PIL europeo. Il 2,5% più ricco detiene quasi il 40% del patrimonio totale, ossia circa il 200% del PIL europeo. Non ci si deve quindi stupire che un’imposta con tassi marginali dell’1% e del 2% a carico della fascia superiore frutti circa 2 punti di PIL. Il rendimento sarebbe più alto se i tassi si applicassero alla totalità del patrimonio e non alle frazioni superiori alle soglie indicate.

28 L’imposta di solidarietà sulla ricchezza (ISF), applicata in Francia nel 2013, riguarda i patrimoni imponibili superiori a 1,3 milioni di euro (previa deduzione del 30% del valore della prima casa), con tassi che vanno dallo 0,7% all’1,5% per la fascia di reddito più elevata (oltre i 10 milioni di euro). Considerati i rialzi della soglia di tassazione e delle esenzioni, le entrate risultano inferiori allo 0,5% del PIL. In teoria, un attivo è detto di investimento quando il proprietario esercita un’attività nell’impresa coinvolta. In pratica, si tratta di una condizione difficilmente valutabile e facilmente eludibile, anche perché sono stati introdotti nel corso degli anni vari regimi in deroga (come i “patti degli azionisti”, che permettono ugualmente delle esenzioni parziali o totali dall’ISF nel caso in cui un gruppo di azionisti s’impegni a mantenere la propria partecipazione per una durata minima di tempo). Secondo i dati disponibili, la maggior parte dei patrimoni più elevati sfugge all’ISF. Inoltre l’amministrazione fiscale francese pubblica pochissime statistiche dettagliate per fasce patrimoniali (molto meno, per esempio, che all’inizio del XX secolo e fino agli anni cinquanta e sessanta, a cominciare dai dati sulle successioni), il che aggiunge altra opacità all’insieme. Cfr. allegato tecnico.

29 Cfr. in particolare cap. 5, grafici 5.4 e seguenti.

30 Nel caso, gli introiti dell’imposta progressiva sul capitale passerebbero a 3-4 punti di PIL, di cui 1-2 punti derivanti dalla tassa fondiaria. Cfr. allegato tecnico.

31 Per esempio per giustificare il recente abbassamento del tasso superiore dell’ISF francese, dall’1,8% all’1,5%.

32 Cfr. in proposito, P. Judet de la Combe, “Le jour où Solon a aboli la dette des athéniens”, in Libération, 31 maggio 2010.

33 In realtà, abbiamo visto come una quota – sempre maggiore con l’andar del tempo – del capitale terriero corrisponda a miglioramenti da apportare ai terreni, per cui, se si valutano le cose sul lungo periodo, il capitale terriero non diventa poi tanto diverso dalle altre forme cumulabili di capitale. Resta il fatto che l’accumulo di capitale terriero non può superare determinati limiti e che la sua predominanza corrisponde a un mondo dalla crescita molto lenta.

34 Il che non impedisce di conferire agli altri stakeholder (salariati, comunità locali, associazioni ecc.) i mezzi per pesare effettivamente sulle decisioni, sotto forma di diritti di voto adeguati. La trasparenza finanziaria può svolgere anche qui un ruolo essenziale. Torneremo sull’argomento nel cap. 16.

35 Il tasso ottimale d’imposta sul capitale mira esattamente a colmare il divario tra il tasso di rendimento r e il tasso di crescita g, o quantomeno a limitare alcuni suoi effetti. Per esempio, in base a determinate ipotesi, il tasso ottimale di tassazione dell’eredità è dato dalla formula τ = 1 – G/R, dove G è il tasso di crescita generazionale e R è il rendimento generazionale del capitale (per cui il tasso tende al 100% quando la crescita è infinitamente bassa rispetto al rendimento, e tende allo 0% quando essa si avvicina al rendimento). In genere, però, le cose sono più complicate, anche perché il sistema ideale implica un tasso annuo e progressivo sul capitale. Per la presentazione e la spiegazione delle principali forme di tassazione ottimale (in grado di precisare i termini del dibattito, ma non di fornire risposte pronte, talmente numerosi sono gli effetti, e talmente difficili da valutare con esattezza), cfr. allegato tecnico.

36 Thomas Paine, nella sua proposta di Giustizia agraria del 1795, prevedeva di tassare le eredità al 10% (livello secondo lui corrispondente alla quota non cumulata, mentre la quota cumulata, a suo parere, non andava tassata in alcun modo, anche se era stata cumulata nel corso di molte generazioni). Alcune proposte di “diritto nazionale sull’eredità” fatte durante la Rivoluzione sono state ben più radicali. Tuttavia i diritti di successione e di trasferimento finalmente adottati, dopo molti dibattiti, non superano mai l’1-2% in linea diretta. Su questi dibattiti e le proposte, cfr. allegato tecnico.

37 Malgrado i molti dibattiti e le molte proposte americane e britanniche, soprattutto durante gli anni sessanta e settanta, e nuovamente a partire dal primo decennio del XXI secolo. Cfr. allegato tecnico.

38 Questo vizio d’origine deriva dal fatto che le imposte sul capitale avviate dal XIX secolo sono state varate in un mondo senza inflazione (o con bassa inflazione), nel quale sembrava bastasse, per fissare le stime, aggiornare i valori degli attivi ogni dieci o quindici anni (per quelli immobiliari) oppure fare riferimento al valore d’acquisto (sistema spesso utilizzato per quelli finanziari). Questi sistemi dei valori catastali e fiscali sono stati profondamente sconvolti dall’inflazione tra il 1914 e il 1945 e, in un mondo caratterizzato da un’inflazione importante permanente, non sono mai riusciti a funzionare in modo corretto.

39 Per la storia dell’imposta tedesca sul capitale, dalla sua creazione in Prussia nel 1891 alla sua interruzione giuridica nel 1997 (la legge non è mai stata formalmente abolita), cfr. Dell, L’Allemagne inégale, cit. Sull’imposta svedese sul capitale, creata nel 1947 (ma in realtà esistente come supplemento d’imposta sui redditi da capitale fin dalla seconda decade del XX secolo) e soppressa nel 2007, cfr. i lavori già citati di Ohlsson e Waldenström, e i riferimenti in allegato. In genere, i tassi di queste imposte non hanno mai superato l’1,5-2% per i maggiori patrimoni, con un apice del 4% in Svezia nel 1983 (applicato però solo a valori fiscali, senza rapporto significativo con i valori di mercato). Oltre alla diminuzione delle basi fiscali, riguardante nei due paesi anche l’imposta di successione, in Svezia, dove l’imposta di successione è stata soppressa nel 2005, ha avuto importanza anche la percezione della concorrenza fiscale. L’episodio, poco coerente con i valori ugualitari del paese, dimostra l’incapacità crescente, da parte dei piccoli paesi, di condurre una politica autonoma.

40 In Francia l’imposta sugli alti patrimoni è stata introdotta nel 1981, soppressa nel 1986 e reintrodotta nel 1988 sotto forma di imposta di solidarietà sulla ricchezza. I valori di mercato registrano a volte brusche variazioni, apparentemente arbitrarie, che hanno tuttavia il merito di fornire l’unica base oggettiva accettabile da tutti. A condizione, però, di aggiornare con regolarità i tassi e le fasce di imposizione, e non lasciare che le entrate prendano automaticamente il volo seguendo i corsi immobiliari; altrimenti ci si espone a possibili rivolte fiscali, come dimostra la celebre Proposta 13 adottata in California nel 1978 per limitare i rialzi uniformi della property tax.

41 L’imposta spagnola viene applicata a patrimoni imponibili superiori a 700.000 euro (con 300.000 euro di deduzione per la prima casa) e il tasso più alto è del 2,5% (in Catalogna è stato portato al 2,75%). Oltre che in Francia e in Spagna, esiste un’imposta annua sul capitale anche in Svizzera, con tassi relativamente ridotti (meno dell’1%), per motivi di concorrenza tra cantoni.

42 Viceversa, impedire a un concorrente estero di svilupparsi (la distruzione da parte del colonizzatore inglese della piccola industria tessile indiana all’inizio del XIX secolo fa parte della memoria storica dell’India) può avere a volte conseguenze destinate a durare nel tempo.

43 Il che è tanto più sorprendente in quanto le rare stime dei profitti economici prodotti dall’integrazione finanziaria depongono a favore di un profitto globale piuttosto modesto (senza considerare gli effetti negativi sulla disuguaglianza e l’instabilità, ignorati da questi studi). Cfr. O. Jeanne, P.-O. Gourinchas, “The Elusive Gains from International Financial Integration”, in Review of Economic Studies, 2006. Si noterà che la posizione del FMI a proposito delle trasmissioni automatiche di informazioni è in genere vaga e mutevole: il FMI ne approva il principio, per poi meglio affossarlo in caso di concreta applicazione, appellandosi ad argomenti tecnici poco convincenti.

44 Il confronto stabilito più di frequente dalla stampa contrappone da una parte il patrimonio medio dei 535 membri del Congresso americano (il quale, secondo le loro dichiarazioni, in teoria affidabili, raccolte dal Center for Responsible Politics, sarebbe di “soli” 15 milioni di dollari, cifra tra l’altro molto più elevata di quella europea, come abbiamo già notato) e dall’altra il patrimonio medio dei 70 più ricchi membri dell’Assemblea nazionale popolare della Cina, il quale supererebbe il miliardo di dollari (secondo Hurun Report 2012, classifica delle ricchezze cinesi tipo Forbes, stilata con metodi più chiari). Considerata la disparità numerica tra i membri dei due parlamenti, sarebbe più giustificato mettere a confronto il patrimonio medio dei 3000 membri dell’Assemblea cinese (per i quali non sembra disponibile alcuna stima), sennonché, a quanto pare, il fatto di essere membro dell’Assemblea cinese rappresenta per i miliardari che la compongono una funzione principalmente onorifica (e non un lavoro di legislatore). Per cui, in definitiva, sarebbe forse più giustificato confrontarli con i 70 donatori più ricchi della scena politica americana.

45 Cfr. N. Qian, T. Piketty, “Income Inequality and Progressive Income Taxation in China and India: 1986-2015”, cit.

46 Per una prospettiva di lungo termine, che tiene conto in modo particolare del fatto che l’Europa ha tratto a lungo vantaggio del suo spezzettamento (la concorrenza tra Stati stimola l’innovazione, soprattutto in materia di tecnologia militare), fino a quando questo non è diventato un handicap rispetto alla Cina, cfr. J-L. Rosenthal, R. B. Wong, Before and Beyond Divergence: The Politics of Economic Change in China and Europe, Cambridge (MA), Harvard University Press, 2011.

47 Cfr. allegato tecnico.

48 Tra il 2000 e il 2010 in molti paesi europei (Italia, Spagna, Svezia, Regno Unito) i tassi d’immigrazione a carattere permanente (espressi in valore percentuale rispetto alla popolazione del paese di accoglienza) hanno raggiunto lo 0,6-0,7% annuo, contro lo 0,4% degli Stati Uniti e lo 0,2-0,3% di Francia e Germania. Cfr. allegato tecnico. Con la crisi, certi flussi hanno già ripreso la via del ritorno, in particolare nell’Europa del Sud e in Germania. Se si considera l’Europa nel suo complesso, l’immigrazione permanente è stata quasi pari a quella del primo decennio del XXI secolo in America del Nord, paese in cui la natalità resta tuttora molto più elevata.

Il capitale nel XXI secolo
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