Il mondo del millile superiore
Bisogna notare, inoltre, che più si sale nella gerarchia dei redditi, più spettacolare è la crescita. E anche se gli aumenti interessano in definitiva un numero estremamente limitato di persone, non per questo sono meno visibili, e pongono, com’è ovvio, il problema della loro legittimità. Se si considera la crescita della quota del millile superiore – lo 0,1% più ricco – nella composizione del reddito nazionale, sia nei paesi anglosassoni (cfr. grafico 9.5) sia in Europa continentale e in Giappone (cfr. grafico 9.6), si rilevano certo variazioni evidenti – negli Stati Uniti la quota del millile superiore passa, nel corso degli ultimi decenni, dal 2% a quasi il 10% del reddito nazionale, una crescita mai uguagliata17 –, ma si constata una crescita ugualmente sensibile anche negli altri paesi. In Francia e in Giappone, la quota del millile superiore passa da appena l’1,5% del reddito nazionale nei primi anni ottanta al 2,5% circa di oggi, crescendo di quasi il doppio; in Svezia, la quota del millile superiore passa, nello stesso periodo, da meno dell’1% a più del 2% del reddito nazionale.
Grafico 9.5.
Il millile superiore nei paesi anglosassoni,
1910-2010
In tutti i paesi anglosassoni, a partire dagli anni settanta, la parte del millile superiore (lo 0,1% più ricco) nella composizione del reddito nazionale è notevolmente cresciuta.
Fonti e dati: cfr. http://piketty.pse.ens.fr/capital21c.
Grafico 9.6.
Il millile superiore: Europa continentale e
Giappone, 1910-2010
In Europa continentale e in Giappone, a partire dagli anni settanta, la quota del millile superiore è cresciuta di poco rispetto ai paesi anglosassoni.
Fonti e dati: cfr. http://piketty.pse.ens.fr/capital21c.
Affinché gli ordini di grandezza siano chiari per tutti, ricordiamo che una quota del 2% del reddito nazionale detenuta dallo 0,1% della popolazione significa per definizione che ciascun appartenente a questo gruppo dispone in media di un reddito venti volte superiore al reddito medio del paese considerato (per esempio: 600.000 euro se il reddito medio è di 30.000 euro pro capite); una quota del 10% significa che ciascuno dispone di cento volte la quota media (per esempio: 3 milioni di euro se il reddito medio è di 30.000 euro pro capite18). Ricordiamo anche che lo 0,1% più ricco raggruppa per definizione 50.000 persone in un paese la cui popolazione è di 50 milioni di adulti (come la Francia di oggi). Si tratta, perciò, di un gruppo sì molto minoritario (dieci volte più minoritario dell’1%), ma non trascurabile per il posto che occupa nella geografia sociale e politica.19 Il fatto centrale è che in tutti i paesi ricchi – compresi Europa continentale e Giappone – questo gruppo ha registrato, tra gli anni novanta e il decennio successivo, progressi spettacolari del potere d’acquisto, mentre il potere d’acquisto medio è rimasto praticamente fermo.
In ogni caso il fenomeno dell’impennata degli altissimi salari in Europa continentale e in Giappone resta a tutt’oggi, se valutato da un punto di vista macroeconomico, di ampiezza limitata: l’aumento degli alti redditi è certo impressionante, ma riguarda per il momento un numero troppo esiguo di persone perché l’impatto risulti sensibile come negli Stati Uniti. In concreto, l’aumento del reddito di cui gode l’1% equivale, in Europa continentale e Giappone, a 2-3 punti di reddito nazionale, contro i 10-15 punti negli Stati Uniti, vale a dire un punteggio da cinque a sette volte più alto.20
Il modo più semplice per esprimere la differenza tra le aree geografiche è senza dubbio il seguente: negli Stati Uniti, la disuguaglianza dei redditi ha raggiunto all’inizio del XXI secolo i livelli record osservati negli anni dieci-venti del Novecento (sotto altra forma: con, rispetto al passato, un ruolo maggiore svolto dagli alti redditi da lavoro e un ruolo minore svolto dagli alti redditi da capitale); nel Regno Unito e in Canada, si sta verificando un fenomeno analogo; in Europa continentale e in Giappone, la disuguaglianza dei redditi resta a tutt’oggi assai inferiore a quella dell’inizio del XX secolo, e in realtà appare cambiata poco dal 1945, se ci si pone in una prospettiva di lunghissimo periodo. Su questo punto, il confronto tra i grafici 9.2 e 9.3 è assolutamente chiaro.
Ciò non significa, è ovvio, che la crescita delle disuguaglianze in Europa continentale e in Giappone vada sottovalutata. Anzi. La traiettoria somiglia sotto certi aspetti a quella osservata per gli Stati Uniti, con uno o due decenni di ritardo, e nulla ci impedisce d’immaginare, con una certa preoccupazione, che essa possa assumere l’ampiezza macroeconomica che ha assunto negli Stati Uniti.
In ogni caso, oggi come oggi, la crescita in Europa continentale e in Giappone è molto meno accentuata che negli Stati Uniti e, in misura inferiore, negli altri paesi anglosassoni. E può chiarirci le idee sui meccanismi in gioco. La divergenza tra le varie parti del mondo ricco ci colpisce con forza se pensiamo che la trasformazione tecnologica è stata la medesima un po’ dappertutto: le tecnologie dell’informazione, in particolare, hanno inciso in ugual misura sull’economia del Giappone come della Germania, della Francia come della Svezia, della Danimarca come degli Stati Uniti, del Regno Unito come del Canada. E la crescita economica – più esattamente la crescita del prodotto pro capite, ossia la produttività – è stata pressappoco la stessa in tutte le parti del mondo ricco, con differenze di solo qualche decimo di punto in percentuale, come abbiamo potuto vedere nei capitoli precedenti.21 Per cui un divario così massiccio nelle traiettorie della distribuzione dei redditi esige una spiegazione – spiegazione che né la teoria della produttività marginale né il discorso sulle competenze e sulle tecnologie sono in grado di fornire.