I limiti del modello teorico: il ruolo delle istituzioni
La formazione e la tecnologia svolgono sicuramente un ruolo cruciale sul lungo termine. Ma il modello teorico fondato sull’idea secondo cui il salario è sempre esattamente pari alla produttività marginale del salariato, e dipende innanzitutto dalla sua qualifica, comporta nonostante tutto molti limiti. Sorvoliamo sul fatto che non sempre basta investire sulla formazione, perché non sempre la tecnologia sa impiegare bene le competenze. Sorvoliamo pure sul fatto che il modello teorico, quantomeno nella sua versione più semplicistica, esprime una visione troppo strumentale e utilitaristica della formazione. Come la priorità del settore della sanità non è quella di fornire agli altri settori dei lavoratori in buona salute, così la priorità del settore della formazione non è quella di preparare a svolgere un mestiere negli altri settori. In tutte le società umane, la salute e l’educazione hanno un valore in sé: riuscire a trascorrere la propria vita in buona salute e ad accedere alla conoscenza e alla cultura scientifica e artistica sono gli obiettivi stessi della civiltà.3 Non è proibito immaginare una società ideale in cui tutte le altre mansioni siano quasi completamente automatizzate e in cui ciascuno possa dedicarsi quasi a tempo pieno all’educazione, alla cultura e alla salute, sue e degli altri, una società in cui ciascuno sia l’insegnante, lo scrittore, l’attore, il dottore di qualcun altro. Come abbiamo già notato nel capitolo 2, si tratta di una strada in qualche misura già tracciata: la crescita moderna si qualifica per uno sviluppo notevole della componente delle attività educative, culturali e mediche nel totale complessivo della ricchezza prodotta e nella struttura dell’impiego.
In attesa di quel felice giorno, proviamo almeno a fare dei progressi nella nostra comprensione delle disuguaglianze salariali. Ora, da questo punto di vista, certo più ristretto del precedente, il problema principale della teoria della produttività marginale sta semplicemente nel fatto che essa non riesce a dar conto dei processi storici e delle esperienze sovranazionali. Per capire la dinamica delle disuguaglianze salariali, è necessario introdurre un ruolo per le diverse istituzioni e norme che, in tutte le società, caratterizzano il funzionamento del mercato del lavoro. Ancor più che per gli altri mercati, il mercato del lavoro non è un’astrazione matematica il cui funzionamento è interamente determinato da meccanismi naturali e immutabili, o da forze tecnologiche ineluttabili: è una costruzione sociale, fatta di regole e di compromessi specifici.
Nel precedente capitolo abbiamo già messo in luce numerosi episodi importanti di compressione o di allargamento delle gerarchie salariali, per spiegare i quali non basta ricorrere al gioco della domanda e dell’offerta per i diversi livelli di qualifiche. Per esempio, la compressione delle disuguaglianze salariali che ha luogo in Francia e negli Stati Uniti nel corso di ciascuna delle due guerre mondiali comporta compromessi sulle griglie salariali, nel settore pubblico come nel settore privato, e istituti specifici creati all’uopo, come, negli Stati Uniti, il National War Labor Board. Abbiamo anche sottolineato, per spiegare la crescita delle disuguaglianze salariali in Francia dopo il 1950, il ruolo centrale svolto dai processi relativi al salario minimo, e abbiamo indicato tre sottoperiodi nettamente distinti: gli anni 1950-68, in cui il salario minimo è poco rivalutato e in cui la gerarchia salariale si allarga; la fase 1968-83, caratterizzata da una crescita alquanto rapida del salario minimo e da una forte compressione delle disuguaglianze salariali; e il periodo 1983-2012, nel corso del quale il salario minimo cresce a un ritmo molto più lento e in cui la gerarchia salariale torna a distanziarsi.4 All’inizio del 2013 il salario minimo è di 9,43 euro l’ora.
Negli Stati Uniti, il salario minimo federale è stato introdotto nel 1933, ossia quasi vent’anni prima che in Francia.5 Come in Francia, i processi relativi al salario minimo hanno svolto un ruolo significativo nella crescita delle disuguaglianze salariali. Un dato che colpisce: in termini di potere d’acquisto, il livello massimo del salario minimo è stato toccato quasi mezzo secolo fa, nel 1969, con 1,60 dollari l’ora (10,10 dollari del 2013, considerata l’inflazione intercorsa tra il 1968 e il 2013), in un periodo in cui il tasso di disoccupazione era inferiore al 4%. Dal 1980 al 1990, sotto Reagan e Bush padre, il salario minimo federale è rimasto bloccato a 3,35 dollari, con un conseguente forte calo del potere d’acquisto, al netto dell’inflazione. Sotto Clinton, negli anni novanta, il salario minimo risale a 5,25 dollari, ma viene bloccato su quel livello da Bush figlio, per essere infine rialzato a più riprese, dal 2008 in poi, dall’amministrazione Obama. All’inizio del 2013 è di 7,25 dollari l’ora, ossia appena 6 euro, inferiore di un terzo al salario minimo francese, mentre fino all’inizio degli anni ottanta le posizioni tra Stati Uniti e Francia erano invertite (cfr. grafico 9.1).6 Nel suo discorso sullo stato dell’Unione del 2013, il presidente Obama ha annunciato l’intenzione di portare il salario minimo a circa 9 dollari l’ora nel triennio 2013-16.7
Grafico 9.1.
Il salario minimo in Francia e negli Stati
Uniti, 1950-2013
Convertito in potere d’acquisto del 2013, negli Stati Uniti il salario minimo orario è passato, dal 1950 al 2013, da 3,8 $ a 7,3 $; in Francia, da 2,1 € a 9,4 €.
Fonti e dati: cfr. http://piketty.pse.ens.fr/capital21c.
Le disuguaglianze salariali presenti negli Stati Uniti nella fascia più bassa della distribuzione dei salari hanno seguito da vicino le traiettorie indicate: negli anni ottanta il divario tra il 10% dei salari più bassi e il salario medio è notevolmente aumentato, poi, negli anni novanta, si è sensibilmente ridotto, per poi aumentare di nuovo all’inizio del XXI secolo. È comunque interessante notare come, nel corso dell’intero periodo, il differenziale rispetto alla fascia più alta della distribuzione – il 10% più ricco in termini di salario nel totale della massa salariale – non abbia smesso di crescere. Con tutta evidenza, il salario minimo ha, nella fascia distributiva più bassa, un impatto maggiore, mentre in quella più elevata, nella quale agiscono altre forze, ha un impatto molto minore.