L’esplosione dei salari dei dirigenti: il ruolo del fisco
Dopo aver conosciuto, dagli anni trenta agli anni settanta, una grande passione per l’uguaglianza, gli Stati Uniti e il Regno Unito hanno imboccato con lo stesso entusiasmo, nel corso degli ultimi decenni, la direzione opposta. In particolare, il loro tasso superiore d’imposta sul reddito, dopo essere stato a lungo nettamente al di sopra dei livelli applicati in Francia e in Germania, è passato, dopo gli anni ottanta, altrettanto nettamente al di sotto di quei livelli. Per semplificare, durante il periodo 1930-2010, i tassi tedesco e francese sono rimasti stabili, attorno al 50-60% (con un lieve calo alla fine del periodo), mentre i tassi americani e britannici sono passati dall’80-90% nel periodo 1930-1980 al 30-40% del periodo 1980-2010, con una punta al ribasso del 28% dopo la grande riforma reaganiana del 1986 (cfr. grafico 14.1).37 Dopo gli anni trenta, i paesi anglosassoni hanno giocato, con i loro ricchi, allo “yo-yo”. In confronto, i paesi dell’Europa continentale (tra cui Francia e Germania rimangono i più rappresentativi) e il Giappone sono stati tutto sommato molto più equilibrati nel loro atteggiamento verso i redditi elevati. Nella Parte prima del volume abbiamo già notato come la grande inversione dei paesi anglosassoni possa essere motivata, almeno in parte, dal fatto di sentirsi economicamente raggiunti nel corso degli anni settanta: da qui l’ondata di riflusso del periodo thatcheriano-reaganiano. È vero che il riaggancio da parte dei paesi europei tra gli anni cinquanta e gli anni ottanta è essenzialmente la reazione automatica alle catastrofi subite dall’Europa continentale e dal Giappone nel periodo 1914-45. Il che non significa che vi sia un’accettazione pacifica da parte dei loro concorrenti: la classifica della ricchezza non è solo una questione di soldi, mette in gioco l’onore e la morale, a livello di ciascun paese come a livello di ciascun individuo. Anche se ciò che più ci sta a cuore, qui, è capire le conseguenze della grande inversione che si è prodotta.
Se consideriamo l’insieme dei paesi sviluppati, rileviamo infatti che il forte calo del tasso marginale superiore d’imposta sul reddito osservato dal 1970 fino agli anni dieci dell’XXI secolo, è strettamente legato al forte rialzo della quota del centile superiore nella composizione del reddito nazionale nel corso dello stesso periodo. In concreto, esiste tra i due fenomeni una correlazione pressoché perfetta: i paesi che hanno abbassato di più il tasso superiore sono anche quelli in cui i redditi più elevati – in particolare gli alti compensi dei dirigenti delle grandi imprese – sono aumentati di più; viceversa, i paesi che hanno abbassato di meno il tasso superiore sono anche quelli in cui gli alti redditi sono cresciuti molto più moderatamente.38 Stando ai modelli economici classici, fondati sulla teoria della produttività marginale e dell’offerta di lavoro, la spiegazione potrebbe essere la seguente: nei paesi interessati il calo del tasso superiore ha fortemente stimolato l’offerta di lavoro e la produttività dei dirigenti, per cui la loro produttività marginale (e quindi il loro salario) sarebbe cresciuta più che negli altri paesi. Ci sembra però una spiegazione ben poco plausibile. Come abbiamo notato nella Parte seconda (cap. 9), la teoria della produttività marginale è un modello che va incontro a serie difficoltà concettuali ed empiriche – e, per giunta, pecca di una certa ingenuità –, quando si tratta di spiegare la formazione dei compensi al vertice della gerarchia salariale.
Una spiegazione più realistica è la seguente: il calo del tasso superiore, particolarmente massiccio negli Stati Uniti e nel Regno Unito, ha del tutto trasformato le modalità di formazione e di contrattazione dei salari dei dirigenti. Per un dirigente è sempre difficile convincere le varie componenti di un’impresa (subordinati diretti, altri salariati che occupano un grado inferiore della scala gerarchica, azionisti, membri del comitato delle retribuzioni) che un aumento di stipendio importante – per esempio di 1 milione di dollari in più – sia davvero giustificato. Negli anni cinquanta e sessanta del XX secolo, un dirigente americano o britannico aveva poco interesse a battersi per ottenere un aumento del genere, e i suoi interlocutori erano meno pronti ad accettarlo, poiché, in ogni caso, l’80-90% dell’aumento stesso finiva direttamente nelle casse del tesoro pubblico. A partire dagli anni ottanta, le cose sono completamente cambiate, e tutto fa pensare che i dirigenti si siano spesi moltissimo per convincere gli uni e gli altri ad assegnare loro aumenti ancora più cospicui – esito non sempre così difficile, se si considerano le grosse difficoltà oggettive legate alla valutazione del contributo individuale di un alto dirigente alla produzione della sua società, e le modalità di composizione, spesso relativamente incestuose, dei comitati delle retribuzioni.
Questa spiegazione ha anche il merito di essere coerente con il fatto che non esiste alcuna relazione statisticamente significativa tra il calo del tasso marginale superiore e il tasso di crescita della produttività dei vari paesi sviluppati dopo gli anni settanta. In concreto, il punto fondamentale è che, dopo gli anni settanta e ottanta, il tasso di crescita del PIL pro capite è stato quasi esattamente il medesimo in tutti i paesi ricchi. Al contrario di quanto si pensa talvolta oltremanica e oltreatlantico, la verità delle cifre – nella misura in cui i bilanci nazionali ufficiali ci consentono di coglierla – è che dopo gli anni settanta e ottanta la crescita, nel Regno Unito e negli Stati Uniti, non è stata più forte che in Germania, Francia, Giappone, Danimarca o Svezia.39 In altri termini, il calo del tasso marginale superiore e la crescita degli alti redditi non sembrano aver stimolato la produttività (contrariamente alle previsioni della teoria dell’offerta) o, quantomeno, non abbastanza perché il dato sia statisticamente rilevabile sul piano economico nel suo complesso.40
La notevole confusione esistente talvolta intorno a questi temi, deriva dal fatto che spesso si effettuano raffronti estesi a soli pochi anni (il che porta a concludere tutto e il contrario di tutto),41 oppure ci si dimentica di dedurre l’aumento della popolazione (il che spiega gran parte della disparità strutturale della crescita complessiva tra Stati Uniti ed Europa). A volte si confonde il livello di prodotto pro capite (che negli Stati Uniti è sempre stato, negli anni settanta e ottanta del XX secolo come negli anni dieci del XXI secolo, più alto di quello europeo di circa il 20%) con quello dei tassi di crescita (i quali, nel corso degli ultimi tre decenni, sono rimasti sostanzialmente uguali in entrambi i continenti).42 Ma il primo motivo di confusione deriva molto probabilmente dal fenomeno, già ricordato, del riaggancio. È incontestabile che il declino britannico e americano si sia fermato tra il 1979 e il 1980, nel momento in cui i tassi di crescita osservati oltremanica e oltreatlantico non sono più risultati inferiori rispetto ai tassi tedeschi, francesi, nordici, giapponesi. Ma è altrettanto incontestabile che la disparità si sia ridotta a zero per una ragione molto semplice (l’avvenuto riaggancio dei paesi europei e del Giappone ai paesi anglosassoni), la quale ha in realtà ben poco a che vedere con la rivoluzione conservatrice inglese e americana degli anni ottanta, almeno a una prima analisi.43