La mortalità sul lungo periodo
La seconda forza che potrebbe spiegare la fine naturale dell’eredità è l’allungamento dell’aspettativa di vita, presumendo un calo del tasso di mortalità m e una dilazione nel tempo dell’eredità stessa (si eredita talmente tardi che l’eredità perde di importanza). In effetti, la riduzione del tasso di mortalità è ormai, a lungo termine, un elemento scontato: in rapporto alla popolazione, si muore con minor frequenza in una società in cui l’aspettativa di vita sia di 80 anni che in una società in cui essa non superi i 60. E, a termini invariati, soprattutto con un rapporto β e un rapporto μ dati, una società in cui si muore con minor frequenza – sempre in rapporto alla popolazione – è anche una società in cui la massa dell’eredità è proporzionalmente inferiore al reddito nazionale. In Francia, come in tutti i paesi, si rileva che il tasso di mortalità diminuisce inesorabilmente nel corso della storia: nel XIX secolo e fino al 1900, in rapporto alla popolazione adulta, era di circa il 2,2% annuo, dopodiché è sceso costantemente per tutto il XX secolo8 per attestarsi, nel 2000-10, attorno all’1,1-1,2% annuo: il livello, quindi, si è di fatto dimezzato nel corso di un secolo (cfr. grafico 11.2).
Tuttavia sarebbe un grave errore logico pensare che questa forza porti ineluttabilmente alla progressiva scomparsa dell’eredità. Tanto per cominciare, nella Francia dei primi anni del XXI secolo il tasso di mortalità ha preso a risalire, e secondo le previsioni demografiche ufficiali la crescita dovrebbe proseguire fino agli anni quaranta-cinquanta del XXI secolo, dopodiché la mortalità dovrebbe stabilizzarsi attorno all’1,4-1,5%. Il che si spiega automaticamente con l’arrivo all’età media dei decessi delle generazioni precedenti (più o meno di un volume analogo a quello delle successive9). In altri termini, il baby-boom e la crescita strutturale delle nascite che il fenomeno ha comportato in Francia hanno causato a una riduzione temporaneamente elevata del tasso di mortalità, per il semplice fatto del ringiovanimento e dell’aumento della popolazione. La demografia francese ha questo di positivo: è oltremodo semplice, e aiuta a illustrare con chiarezza gli effetti primari. Nel XIX secolo la popolazione francese si è mantenuta pressoché stazionaria, e l’aspettativa di vita si aggirava sui 60 anni: il tasso di mortalità era dunque vicino a 1/40, cioè il 2,2%. Nel XXI secolo, secondo la previsioni ufficiali, la popolazione dovrebbe tornare a stabilizzarsi, con un’aspettativa di vita vicina agli 85 anni e un tasso di mortalità – se il livello resta stazionario – di circa 1/65, cioè circa l’1,4-1,5%, considerando sempre la lieve crescita demografica. Sul lungo periodo, in un paese sviluppato e demograficamente quasi a crescita zero come la Francia (in cui l’aumento della popolazione è dovuto in primo luogo all’invecchiamento), il calo del tasso di mortalità adulta è di circa un terzo.
Grafico 11.2.
Il tasso di mortalità in Francia,
1820-2100
In Francia, nel corso del XX secolo, il tasso di mortalità è crollato (allungamento della speranza di vita), e dovrebbe risalire leggermente nel XXI secolo (effetto baby-boom).
Fonti e dati: cfr. http://piketty.pse.ens.fr/capital21c.
Questo effetto di risalita del tasso di mortalità tra i primi anni del XXI secolo e i successivi anni quaranta-cinquanta, legato all’arrivo all’età media del decesso delle generazioni relativamente numerose dei baby-boomers, è certo un fattore meccanico, ma è un fattore importante. Spiega in parte perché nella seconda metà del XX secolo il flusso successorio si sia stabilizzato a un livello piuttosto basso, e perché la ripresa sarà tanto più forte nei decenni a venire. Da questo punto di vista, non è la Francia il paese in cui l’effetto sarà più massiccio. Tutt’altro. Nei paesi europei in cui il volume della popolazione ha iniziato a ridursi in misura significativa, o sta per iniziare a farlo (per la netta diminuzione delle nascite), in particolare in Germania, Italia e Spagna, ma anche in Giappone, il fenomeno porterà, nel corso della prima metà del XXI secolo, a una crescita molto più robusta rispetto alla Francia del tasso di mortalità adulta e, automaticamente, a un sensibile aumento del volume di trasmissioni patrimoniali. L’invecchiamento della popolazione dipende sì dalla minore quantità dei decessi nel corso del tempo, ma non ne determina certo l’estinzione: solo un aumento forte e continuo del volume delle nascite può ridurre strutturalmente e durevolmente il tasso di mortalità e il peso dell’eredità. Quando però l’invecchiamento si accompagna, come in Francia, a una stabilizzazione del volume delle nascite o, peggio ancora, a un loro calo – fenomeno comune a molti paesi ricchi –, tutti gli elementi congiurano tra loro per una forte crescita del flusso successorio. Nel caso estremo di un paese in cui il volume delle classi d’età finisse per dimezzarsi a ogni generazione (ossia nel caso in cui una coppia decidesse di avere un solo figlio), il tasso di mortalità – e dunque il flusso successorio – potrebbe salire a livelli finora mai visti. Viceversa, nei paesi in cui il volume delle classi d’età raddoppia a ogni generazione, come si è visto in molte parti del mondo nel corso del XX secolo – fenomeno oggi nient’affatto scomparso, soprattutto in Africa –, il tasso di mortalità scende a livelli bassissimi, e l’eredità conta poco o nulla – sempre a parità di condizioni.