Le tre forze: l’illusione della fine dell’eredità

Il principale vantaggio assicurato dall’utilizzo del flusso economico sta nel fatto che esso ci spinge ad avere una prospettiva d’insieme sulle tre forze che concorrono in ogni paese alla determinazione del flusso successorio e alla sua evoluzione storica.

In generale, il flusso economico annuo di successioni e donazioni, espresso in rapporto al reddito nazionale, flusso che esprimeremo con by, equivale al prodotto di tre forze:

by = μ × m × β

Dove β è il rapporto capitale/reddito (o, più esattamente, il rapporto tra il totale dei patrimoni privati – i soli che possono essere trasmessi per successione, al contrario delle attività pubbliche – e il reddito nazionale), m è il tasso di mortalità e μ la stima del rapporto tra il patrimonio medio al momento del decesso di chi trasmette l’eredità e il patrimonio medio delle persone in vita.

La scomposizione in oggetto è una pura uguaglianza contabile: è, per definizione, sempre vera, in ogni tempo e in ogni luogo. Ed è così che abbiamo stimato il flusso economico raffigurato nel grafico 11.1. La scomposizione nelle tre forze indicate costituisce una tautologia, anche se si tratta – a mio giudizio – di una tautologia utile, nella misura in cui consente di rendere più chiaro lo studio di un problema che, pur non essendo di una difficoltà logica insormontabile, ha comunque suscitato confusione in passato.

Esaminiamo le tre forze una alla volta. La prima è il rapporto capitale/reddito β, ed esprime un dato di fatto: affinché il flusso di ricchezza ereditata sia elevato, in una data società, occorre che lo stock totale di ricchezza privata da trasmettere sia altrettanto elevato.

La seconda forza, quella del tasso di mortalità m, trascrive una dinamica non meno evidente. A parità di dati, il flusso successorio è tanto più elevato quanto più è elevato il tasso di mortalità. In una società in cui ciascuno dovesse vivere in eterno, e in cui il tasso di mortalità m fosse rigorosamente nullo, l’eredità sparirebbe: e anche il flusso successorio by sarebbe nullo, quale che fosse la consistenza dei capitali privati β.

La terza forza, quella del rapporto μ tra la ricchezza media al momento del decesso e la ricchezza media degli eredi, è a sua volta del tutto trasparente.4

Supponiamo che il patrimonio medio delle persone anziane, a rischio decesso, sia pari a quello dell’insieme della popolazione. In tal caso μ = 1, e il flusso successorio by sarebbe semplicemente pari al prodotto del tasso di mortalità m moltiplicato per il rapporto capitale/reddito β. Per esempio, se il rapporto capitale/reddito β è pari al 600% (lo stock di patrimonio privato equivale a sei anni di reddito nazionale) e se il tasso di mortalità della popolazione adulta è del 2% annuo,5 il flusso successorio annuo sarà automaticamente pari al 12% del reddito nazionale.

Se il patrimonio dei defunti è in media due volte più alto di quello dei vivi, vale a dire se μ = 2, il flusso successorio annuo sarà automaticamente pari al 24% del reddito nazionale (sempre con β = 6 e m = 2%), più o meno lo stesso livello osservato nel XIX secolo e all’inizio del XX.

È evidente come il rapporto μ dipenda dal profilo per età del patrimonio. Più il patrimonio medio tende ad aumentare con l’età, più aumenta il rapporto μ, e più sarà elevato il flusso successorio.

Viceversa, in una società in cui il patrimonio abbia come scopo primario quello di finanziare gli anni del collocamento a riposo, e in cui gli anziani scelgano di consumare nel corso della pensione il capitale accumulato durante la vita attiva (per esempio tramite rendite annue o “annualità” versate sui fondi pensione o sul trattamento di fine rapporto, rendite destinate a estinguersi con la loro morte), secondo la “teoria del ciclo vitale della ricchezza” (life-cycle wealth) elaborata negli anni cinquanta-sessanta dall’economista italoamericano Franco Modigliani, il rapporto μ sarebbe virtualmente nullo, poiché ciascuno si organizzerebbe in modo tale da morire senza capitale, o quantomeno con un capitale esiguo. Nel caso estremo di μ = 0, l’eredità, in astratto, sarebbe del tutto scomparsa, quali che siano i valori assunti da β e m. Da un punto di vista strettamente logico, sarebbe assolutamente possibile immaginare un mondo in cui il capitale privato abbia un’ampiezza considerevole (β molto alto) e in cui, tuttavia, il patrimonio assuma la forma prevalente di fondi pensione – o di tipi di ricchezza equivalenti, destinati a estinguersi con la morte degli interessati (annuitized wealth, “ricchezza vitalizia”) –, per cui il flusso successorio sarebbe rigorosamente nullo, o quantomeno molto debole. La teoria di Modigliani offre una visione piatta e unidimensionale della disuguaglianza sociale, secondo la quale le disuguaglianze da capitale corrispondono semplicemente al trasferimento nel tempo delle disuguaglianze da lavoro (i dirigenti accumulano, per la loro pensione, più riserve degli operai, ma, in tutti i modi, gli uni e gli altri consumano il loro capitale prima della morte). Non è un caso che abbia avuto un grande successo durante i Trente glorieuses, in un’epoca in cui anche la sociologia funzionalista americana – in particolare quella di Talcott Parsons – amava rappresentare un mondo di ceti medi e di dirigenti nel quale il valore dell’eredità si sarebbe pressoché estinto.6 Questa teoria è ancora oggi molto popolare tra i baby-boomers.

La scomposizione del flusso successorio in tre forze (by = μ × m × β) è importante per inquadrare storicamente l’eredità e la sua evoluzione, poiché ciascuna delle tre forze incarna un insieme significativo di credenze e di ragionamenti – del resto perfettamente plausibili in sé e per sé – in nome dei quali si è sovente immaginato, soprattutto nei decenni d’ottimismo del secondo dopoguerra, che la fine dell’eredità, o quantomeno una graduale e progressiva diminuzione della sua importanza, fosse in qualche modo la soluzione più logica e naturale della storia. Ebbene, noi vedremo come non solo una simile scomparsa, pur graduale, non sia ineluttabile – come chiaramente dimostra il caso francese –, ma anche come la curva a U osservata appunto per il caso francese sia in realtà la risultante incrociata delle tre curve a U chiamate a descrivere ciascuna delle tre forze: μ, m e β. E proprio il fatto che queste tre forze abbiano visto congiungersi simultaneamente i propri effetti, in parte per ragioni accidentali, spiega l’ampiezza considerevole del percorso globale, in particolare il livello eccezionalmente basso toccato dal flusso successorio negli anni cinquanta-sessanta, al punto da far pensare a una quasi scomparsa dell’eredità.

Nella Parte seconda del libro abbiamo già studiato in modo dettagliato la curva a U descritta dal rapporto capitale/reddito β nel suo complesso. La fiducia ottimistica accordata a β è chiarissima, e in teoria del tutto plausibile: l’eredità tende a perdere di importanza nel corso della storia per il semplice fatto che i patrimoni (o più esattamente i patrimoni “non umani”, quelli che si possono possedere, scambiare sul mercato e trasmettere per intero tramite il diritto di proprietà) perdono di importanza. Questa visione ottimistica è un fatto del tutto plausibile da un punto di vista logico, e caratterizza l’intera teoria moderna del capitale umano (specie i lavori di Gary Becker), anche se non sempre è formulata in modo esplicito.7 Ma, come abbiamo visto, le cose non si sono messe in questo modo o, quantomeno, le vicende patrimoniali non hanno avuto l’ampiezza che taluni immaginavano potessero avere: il capitale terriero è diventato immobiliare, industriale, finanziario, senza tuttavia perdere nulla della sua importanza globale, come testimonia il fatto che il rapporto capitale/reddito è sul punto di ritrovare, oggi, il livello record della belle époque e dei secoli passati.

Per ragioni che è possibile definire in qualche misura tecniche, oggi il capitale continua a svolgere un ruolo fondamentale nei processi di produzione, e pertanto nella vita pubblica. Prima di dare il via a una qualsiasi produzione sussiste l’obbligo di poter contare su fondi adeguati, onde pagare uffici e infrastrutture, finanziare investimenti materiali e immateriali di ogni genere, e ovviamente trovare una sede per la nuova impresa. Le abilità e le competenze umane si sono certo molto rivalutate nella storia. Ma si è rivalutato, in ugual misura, anche il capitale non umano: non ci sono dunque motivi fondati a priori per aspettarsi una progressiva scomparsa dell’eredità, da questo punto di vista.

Il capitale nel XXI secolo
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