Il rendimento del capitale nella storia
La principale conclusione che si ricava dalle nostre stime è la seguente. In Francia e nel Regno Unito, dal XVIII al XIX secolo, il rendimento puro del capitale è oscillato attorno a un valore base dell’ordine del 4-5% annuo, o più generalmente entro un intervallo compreso tra il 3% e il 6% annuo. Non esiste, sul lungo termine, alcuna tendenza dominante, né al rialzo né al ribasso. Il rendimento puro ha poi nettamente superato il 6% dopo le gravi distruzioni materiali e le non poche scosse subite dal capitale nel corso delle guerre del XX secolo, ma è tornato abbastanza in fretta sui livelli più bassi osservati nel passato. È possibile che il rendimento puro del capitale sia comunque sceso leggermente sul lunghissimo periodo: nei secoli XVIII e XIX ha spesso superato il 4-5%, mentre all’inizio del XXI secolo sembra avvicinarsi al 3-4%, man mano che il rapporto patrimonio/reddito ritrova gli alti livelli del passato.
Ci manca in ogni caso la giusta distanza per giudicare in modo adeguato quest’ultimo punto. Non possiamo escludere che il rendimento puro del capitale si accinga a riposizionarsi nei decenni a venire su livelli più elevati, tenendo conto in particolare della crescente concorrenza tra i paesi per attirare capitali, e dell’altrettanto crescente sofisticazione delle tecniche adottate dai mercati e dagli istituzioni finanziarie per produrre rendimenti elevati a partire da portafogli complessi e diversificati.
In ogni caso, la quasi stabilità del rendimento puro del capitale sul lunghissimo periodo – o più probabilmente il leggero calo di circa un quarto o un quinto, dal 4-5% del XVIII e del XIX secolo al 3-4% di oggi, rappresenta un fatto importante per la nostra ricerca, sul quale dovremo ampiamente tornare più avanti.
Per dare una prospettiva storica alle cifre di cui disponiamo, ricordiamo innanzitutto che, nei secoli XVIII e XIX – per le forme di capitale più diffuse e meno a rischio, come terreni o debito pubblico –, il tasso di conversione tradizionale tra capitale e rendita era in genere dell’ordine del 5% annuo: il valore di riferimento di un capitale era stimato in circa venti annualità di reddito in rapporto al capitale stesso, a volte in venticinque (nel caso corrisponderebbe a un rendimento del 4% annuo).7
Nel romanzo classico dell’inizio del XIX secolo, in particolare nelle opere di Balzac o di Jane Austen, l’equivalenza tra capitale e rendita annua, grazie a un tasso di rendimento del 5% (più raramente del 4%), è un fatto scontato. Non a caso, capita spesso che i narratori omettano di segnalare la natura del capitale, in particolare il rilievo assunto da due tipi di beni abbastanza diversi come la terra e il debito pubblico, considerati due reciproci quasi perfetti, e si limitino a indicare l’importo della rendita annua prodotta. Balzac e Austen ci informano, per esempio, che il tal grande personaggio dispone di 50.000 franchi o di 2000 sterline di rendita, senza precisare se si tratta di rendita fondiaria o di rendita di Stato. Il fatto è che non lo considerano importante, dato che il reddito è sicuro e costante in entrambi i casi, e consente di finanziare durevolmente un tenore di vita ben preciso, e di perpetuare nel tempo uno status sociale ben noto e pienamente codificato.
Allo stesso modo, sia Balzac sia Austen giudicano spesso inutile precisare il tasso di rendimento in virtù del quale è possibile trasformare un capitale in rendita annua: ogni lettore sa benissimo che per produrre una ricchezza annua di 50.000 franchi ci vuole un capitale dell’ordine di 1 milione di franchi (o un capitale di 40.000 sterline per produrre una rendita annua di 2000 sterline), sia esso investito in titoli del debito pubblico, in terreni agricoli o in qualsiasi altra forma. Per gli scrittori del XIX secolo, così come per i loro lettori, l’equivalenza tra patrimonio e rendita annua è un fatto scontato, e si passa di continuo da un ordine di grandezza all’altro senza introdurre la minima distinzione, come se si utilizzassero dei perfetti sinonimi, o due linguaggi univoci noti a tutti.
È altrettanto evidente, in questi romanzi, che esistono investimenti che richiedono un maggiore impegno personale, come le fabbriche di pasta di papà Goriot o le piantagioni nelle Antille di Sir Thomas in Mansfield Park, soluzioni che comportano rendimenti più elevati. Investimenti del genere possono tranquillamente procurare rendimenti del 7-8%, ossia più di quanto potrebbero procurare dei buoni affari, come spera di fare César Birotteau con la sua redditizia operazione immobiliare nel quartiere della Madeleine, dopo i primi successi ottenuti nel settore della profumeria. Ma è anche evidente che, una volta dedotti il tempo e l’energia impiegati a organizzare questi affari (Sir Thomas trascorre lunghi mesi nelle isole delle Antille), non è sempre detto che il rendimento puro finalmente ottenuto superi il vantaggioso 4-5% ottenuto investendo in terreni o in debito pubblico. In altri termini, il rendimento supplementare corrisponde in larga parte al guadagno da lavoro acquisito nell’operazione, e il rendimento puro da capitale – includendovi il premio per il rischio – non supera generalmente di molto il 4-5% (livello che non sarebbe poi così malvagio).