Capitale negriero e capitale umano
Non è nostra intenzione stimare il valore del capitale negriero all’interno di altre società schiaviste. Nel Regno Unito, in cui la schiavitù è stata abolita tra il 1833 e il 1838, o in Francia, in cui l’abolizione è avvenuta in due tappe successive (prima abolizione nel 1792, ripristino della schiavitù per volere di Napoleone nel 1803, abolizione definitiva nel 1848), una parte del capitale estero, per tutto il XVIII secolo e fino agli inizi del XIX, è investito in piantagioni, o nelle Antille (pensiamo a Sir Thomas in Mansfield Park), o nelle isole schiaviste dell’oceano Indiano (Île Bourbon e Île de France, ribattezzate dopo la Rivoluzione francese Île de la Réunion e Île Maurice). Questi valori dell’attivo includono di fatto gli schiavi, e che pertanto non abbiamo calcolato separatamente. Nei due paesi, all’inizio del XIX secolo, il totale dell’attivo estero non supera comunque il 10% del reddito nazionale, l’incidenza del valore degli schiavi sul totale dei patrimoni era certo molto minore che negli Stati Uniti.17
Viceversa, nelle società in cui gli schiavi costituiscono una parte rilevante della popolazione, il valore di mercato del capitale negriero può facilmente raggiungere livelli molto elevati, potenzialmente ancora più elevati che negli Stati Uniti, e superare quello delle altre forme di patrimonio. Consideriamo un caso estremo, in cui la quasi totalità della popolazione sia proprietà di una ristretta minoranza. Supponiamo, a titolo illustrativo, che il reddito da lavoro (vale a dire quanto guadagnano i negrieri con il lavoro degli schiavi) equivalga al 60% del reddito nazionale, il reddito da capitale (vale a dire, affitti, profitti ecc., che producono le terre e altri capitali ai loro proprietari) equivalga al 40% del reddito nazionale, e il tasso di rendimento di tutte le forme di capitale non umano equivalga al 5% annuo.
Per definizione, il valore del capitale nazionale (schiavi esclusi) equivale a otto annualità di reddito nazionale: è la prima legge fondamentale del capitalismo (β = α/r), introdotta nel capitolo 1.
In una società schiavista si può applicare la stessa legge alla capitalizzazione negriera: se gli schiavi fruttano l’equivalente del 60% del reddito nazionale e se il tasso di rendimento annuo su tutte le forme di capitale è del 5%, il valore di mercato dello stock totale di schiavi equivarrà a dodici annualità di reddito nazionale – più della metà del reddito nazionale –, per il semplice fatto che gli schiavi fruttano oltre la metà del capitale. Se a quello del capitale aggiungiamo il valore degli schiavi, otteniamo quindi venti annualità di reddito nazionale, poiché la totalità del flusso annuale del reddito e della produzione è capitalizzata al tasso del 5%. Nel caso degli Stati Uniti dal 1770 al 1820, il valore del capitale negriero è di circa un’annualità e mezza di reddito nazionale (e non di dodici annualità), primo perché la percentuale di schiavi rispetto al totale della popolazione è del 20% (e non del 100%), secondo perché il prodotto medio degli schiavi è stimato di poco inferiore al prodotto medio del lavoro, e il tasso di rendimento del capitale negriero è in genere più vicino al 7-8% – o anche superiore – che al 5%, per cui il capitale è inferiore. In pratica, negli Stati Uniti prima della guerra di secessione, il prezzo di mercato di uno schiavo è perlopiù dell’ordine di dieci-dodici annualità di salario di un lavoratore libero equivalente (e non venti annualità, come sarebbe con un prodotto equivalente e un rendimento del 5%). Verso il 1880, il prezzo medio di uno schiavo maschio nel pieno delle proprie forze era di circa 2000 dollari, mentre il salario annuo di un lavoratore agricolo libero era di circa 200 dollari.18 Occorre anche precisare che i prezzi variano enormemente a seconda delle caratteristiche dello schiavo e della valutazione fissata dal proprietario: in Django Unchained Quentin Tarantino ritrae un ricco proprietario di piantagioni pronto a disfarsi della bella Broomhilda per soli 700 dollari, ma anche pronto a pretendere 12.000 dollari per vendere i suoi migliori schiavi da combattimento.
In ogni caso, è chiaro che questo tipo di calcolo ha senso unicamente nelle società schiaviste, in cui il capitale umano può di fatto essere venduto sul mercato in forme permanenti e irrevocabili. Alcuni economisti, in particolare nel dossier contenente i recenti rapporti della Banca mondiale dedicati alla “ricchezza delle nazioni”, scelgono di calcolare il valore totale del “capitale umano” a partire da un tasso di rendimento annuo più o meno arbitrario (nell’ordine del 4-5%). Per poi arrivare a concludere, con stupore, che il capitale umano, nel magico mondo del XXI secolo, rappresenta la prima forma di capitale. In realtà si tratta di una conclusione assolutamente evidente, e non sarebbe stata diversa se si fosse analizzato il mondo del XVIII secolo: a partire dal momento in cui più della metà del reddito nazionale equivale a redditi da lavoro, e in cui si decide di investire il flusso di reddito da lavoro allo stesso tasso (o a un tasso molto vicino) del flusso di reddito da capitale, il valore del capitale umano non può che superare, per definizione, quello delle altre forme di capitale. Non ci si deve affatto sorprendere, e non c’è nessun bisogno per maturare una tale conclusione, di pensare a un’operazione fittizia di capitalizzazione (basta confrontare i flussi).19 Attribuire un valore monetario allo stock di capitale umano ha senso soltanto nelle società in cui è effettivamente possibile possedere in modo totale e assoluto altri individui – società che, almeno sulla carta, hanno definitivamente cessato di esistere.
1 Per concentrare l’attenzione sulle evoluzioni a lungo termine, i grafici presentati qui riportano unicamente valutazioni decennali, e ignorano quindi i picchi eccezionali, comunque destinati a ripetersi per pochissimi anni. Per le serie di dati annui complete, cfr. allegato tecnico.
2 Il dato d’inflazione media del 17% annuo tra il 1913 e il 1950 non tiene conto dell’eccezione rappresentata dal 1923 (tra l’inizio e la fine dell’anno i prezzi subiscono una moltiplicazione di 100 milioni).
3 Quasi in parità con General Motors, Toyota e Renault-Nissan (circa 8 milioni di veicoli venduti da ciascuna azienda nel 2011). Lo Stato francese detiene ancora oggi circa il 15% del capitale Renault (terzo costruttore europeo dopo Volkswagen e Peugeot).
4 Dati i limiti delle fonti disponibili, è anche possibile che la disparità sia spiegabile, almeno in parte, con l’impiego di diverse metodologie statistiche. Cfr. allegato tecnico.
5 Cfr., per esempio, M. Albert, Capitalisme contre capitalisme, Paris, Seuil, 1991.
6 Cfr., per esempio, G. Duval, Made in Germany, Paris, Seuil, 2013.
7 Cfr. allegato tecnico.
8 La differenza rispetto all’epoca di Ricardo è che i possidenti britannici del primo decennio dell’Ottocento erano abbastanza benestanti per produrre risparmio privato supplementare, in misura tale da assorbire i deficit pubblici senza incidere sul capitale nazionale. I deficit europei del periodo 1914-45 si registrano invece in un contesto in cui i patrimoni e il risparmio privati stanno già subendo molti effetti stravolgenti, per cui l’indebitamento pubblico aggrava ulteriormente la diminuzione del capitale nazionale.
9 Cfr. allegato tecnico.
10 Cfr. A. de Tocqueville, La democrazia in America, Torino, Einaudi, 2006, Parte II, cap. 19, e Parte III, cap. 6.
11 Sulle tabelle dei grafici 3.1, 3.2, 4.1, 4.6 e 4.9 abbiamo indicato in chiaro le posizioni positive rispetto al resto del mondo (periodi di capitale estero netto positivo) e in scuro le posizioni negative (periodi di debito estero netto positivo). Per le serie di dati complete utilizzate per illustrare i grafici nel loro insieme, cfr. l’allegato tecnico.
12 Cfr. grafici supplementari S4.1 e S4.2.
13 Occorre comunque sottolineare che questo punto di vista sul capitale estero netto occulta l’importanza delle partecipazioni incrociate tra paesi, sulle quali torneremo nel prossimo capitolo.
14 Sulle reazioni suscitate dagli investimenti europei negli Stati Uniti nel XIX secolo, cfr. per esempio M. Wilkins, The History of Foreign Investment in the United States to 1914, Cambridge (MA), Harvard University Press, 1989, cap. 16.
15 Nel Nord sono presenti appena poche decine di migliaia di schiavi. Cfr. allegato tecnico.
16 In una società in cui ciascun individuo è trattato come soggetto, la schiavitù (che può essere vista come una forma estrema di debito di un individuo nei confronti di un altro) non aumenta il patrimonio nazionale, come non lo aumenta il complesso dei debiti privati o pubblici (i debiti fungono da passivi per determinati individui e da attivi per altri, e pertanto si annullano sul piano globale).
17 Il numero degli schiavi emancipati nel 1848 nelle colonie francesi è valutabile intorno ai 250.000 (meno del 10% del numero degli schiavi negli Stati Uniti). Come negli Stati Uniti, certe forme di discriminazione si sono però perpetuate ben oltre l’emancipazione formale: per esempio, a La Réunion, dopo il 1848, gli ex schiavi devono presentare un contratto di lavoro come domestici o operai in una piantagione, in assenza del quale possono essere arrestati e imprigionati come indigenti; la differenza rispetto al sistema precedente, in base al quale gli schiavi in fuga venivano perseguiti dalla legge e restituiti al padrone, è sostanziale, ma fa pensare più a una continuità che una netta discontinuità.
18 Cfr. allegato tecnico.
19 Per esempio, se il reddito nazionale si scompone in 70% di redditi da lavoro e 30% di redditi da capitale, e se si investe l’insieme dei redditi al 5%, il valore totale dello stock di capitale umano sarà pari a quattordici annualità di reddito nazionale, quello dello stock di capitale non umano sarà pari a sei annualità e il totale si stabilizzerà, di conseguenza, sulle venti annualità. Con una suddivisione rispettivamente del 60% e del 40% del reddito nazionale, forse più vicina alla realtà del XVIII secolo (quantomeno nel Vecchio Continente), otteniamo rispettivamente dodici e otto annualità, sempre per un totale di vent’anni.