I diversi mondi del decile superiore
Prima di procedere oltre, soffermiamoci in breve sull’estrema varietà dei gruppi sociali che popolano il decile superiore della gerarchia dei redditi. Perché, oltre al fatto che i confini tra i vari sottogruppi si sono andati spostando nel corso del tempo (una volta i redditi da capitale dominavano il complesso del centile superiore, mentre oggi dominano soltanto il millile superiore), il fatto che diversi mondi convivano all’interno del decile superiore ci fa capire meglio i cambiamenti spesso caotici osservati nel breve e nel medio termine. In particolare, grazie alla cospicua fonte storica costituita dalle dichiarazioni dei redditi (pur con tutte le imperfezioni che esse comportano: un punto su cui torneremo) possiamo aggiornare e analizzare con precisione la varietà di quei mondi e il loro sviluppo. Ciò che più colpisce è constatare che in tutti i paesi per i quali disponiamo di questo tipo di dati, e in tutte le epoche, la composizione dei redditi elevati si esprime con lo stesso tipo di curve intrecciate che abbiamo visto nei grafici 8.3 e 8.4 relativi alla Francia del 1932 e del 2005: la quota dei redditi da lavoro vi appare in netto calo man mano che si procede all’interno del decile superiore, mentre la quota dei redditi da capitale vi appare in sistematica e forte crescita.
All’interno della metà più povera del decile superiore, ci muoviamo davvero all’interno del mondo dei dirigenti: i salari equivalgono in genere all’80-90% del totale dei redditi.7 Tra il 4% successivo, la quota dei salari diminuisce leggermente, pur restando di gran lunga egemone: tra il 70% e l’80% del totale dei redditi, sia nel periodo tra le due guerre sia oggi (cfr. grafici 8.3 e 8.4). All’interno del gruppo piuttosto ampio del “9%” (che, ricordiamo, rappresenta il decile superiore senza centile superiore), troviamo soprattutto persone che vivono perlopiù dei loro salari: dirigenti e direttori di imprese private oppure dirigenti e burocrati. Si tratta in genere di salari due o tre volte più alti del salario medio della società considerata, dell’ordine di 4000 o 6000 euro al mese rispetto a un salario medio di 2000 euro al mese.
È chiaro che nel corso del tempo i tipi d’impiego e i livelli di competenza sono cambiati: nel periodo tra le due guerre i professori di liceo, nonché i maestri a fine carriera, facevano parte del “9%”; oggi, conviene piuttosto essere un docente universitario, un ricercatore o, ancora meglio, un alto funzionario.8 Un tempo, un caporeparto o un tecnico qualificato non erano troppo lontani dalla soglia del “9%”; oggi, invece, per rientrarvi, è indispensabile essere almeno un dirigente, possibilmente superiore, possibilmente uscito da una grande école di ingegneria o di commercio. E le cose non stanno diversamente per la fascia inferiore della gerarchia dei salari: un tempo, i salariati peggio pagati (attorno alla metà del salario medio: 1000 euro al mese su un salario medio di 2000) erano i lavoratori agricoli e i domestici; in un secondo tempo sono stati i lavoratori meno qualificati e meno retribuiti dell’industria, in genere gli operai, per esempio del tessile o dell’agroalimentare; oggi, tali settori d’attività non sono affatto scomparsi, ma i bassi salari caratterizzano soprattutto i salariati dei servizi, come i camerieri dei ristoranti e i commessi di negozio (anche qui, perlopiù donne). Nel corso di un secolo i mestieri si sono totalmente trasformati, ma le realtà strutturali sono rimaste le stesse. Le disuguaglianze salariali che connotano l’intero mondo del lavoro – con al vertice il gruppo del “9%” e alla base quello del 50% dei salariati peggio pagati – non sono quasi cambiate sul lungo periodo.
Nel gruppo del “9%” rientrano anche medici, avvocati, commercianti, ristoratori e altri imprenditori non salariati, in numero crescente man mano che ci si avvicina al gruppo dell’“1%”, come mostra la curva che indica la quota dei “redditi misti” (redditi dei lavoratori non salariati, per i quali il reddito da lavoro coincide con il capitale d’investimento), quota che abbiamo riportato separatamente nei grafici 8.3 e 8.4. I redditi misti arrivano fino al 20-30% del totale dei redditi, in prossimità della soglia d’ingresso nel centile superiore, poi scendono e, man mano che si sale all’interno del centile superiore, sono nettamente scavalcati dai redditi da capitale puro (affitti, interessi e dividendi). Per primeggiare nel gruppo del “9%”, o per raggiungere i primi livelli dell’“1%”, per esempio per conseguire un reddito quattro o cinque volte più alto della media (mettiamo, per raggiungere gli 8000 o i 10.000 euro al mese, in una società in cui il salario medio è di 2000), una strategia vincente potrebbe essere quella di diventare un medico, un avvocato o un ristoratore di successo, strategia non meno diffusa di quella che consiste nel diventare dirigente di alto livello in una grande azienda (con un reddito però due volte meno alto9). Ma, per raggiungere il livello stratosferico dell’“1%” e disporre di redditi parecchie decine di volte superiori alla media (centinaia di migliaia di euro annui, mettiamo, o persino molti milioni di euro), la strategia potrebbe rivelarsi insufficiente: insomma, è sempre meglio essere proprietario di un grosso patrimonio.10
È interessante notare che soltanto nell’immediato dopoguerra (in Francia prima nel 1919-20, poi di nuovo nel 1945-46, ma sempre in misura assai limitata nel tempo) la gerarchia si rovescia e i redditi misti superano per breve tempo, per quanto riguarda i vertici del centile superiore, i redditi da capitale. Il che pare corrispondere a fenomeni di accumulo molto rapido di nuove ricchezze legate alle vicende storiche della ricostruzione.11
Riassumendo: il decile superiore postula sempre due mondi molto diversi; da una parte il “9%”, in cui prevalgono nettamente i redditi da lavoro, dall’altra l’“1%”, in cui prendono via via il sopravvento i redditi da capitale (in misura più o meno massiccia e rapida a seconda delle epoche). Si tratta di passaggi che avvengono sempre con gradualità, e i confini si mantengono permeabili, ma le differenze sono chiare e sistematiche.
Per esempio, i redditi da capitale non sono certo assenti nel gruppo del “9%”, ma si tratta di redditi d’appoggio e non di redditi principali. Un dirigente che disponga di un salario di 4000 euro mensili può anche essere proprietario di un appartamento che affitta a 1000 euro al mese (o che occupa egli stesso, evitando così di pagare un affitto di 1000 euro al mese: il che è lo stesso, da un punto di vista finanziario). Nel caso, il suo reddito totale è di 5000 euro mensili e si compone per l’80% di reddito da lavoro e per il 20% di reddito da capitale. Un divisione del genere, del tipo 80-20%, tra lavoro e capitale, rientra a pieno titolo nella struttura rappresentativa dei redditi del gruppo del “9%”, nel periodo tra le due guerre come nel periodo attuale. Una parte dei redditi da capitale proviene inoltre da libretti di risparmio, contratti di assicurazione sulla vita e investimenti finanziari, anche se in genere predomina l’immobiliare.12
Viceversa, nella fascia dell’“1%” sono i redditi da lavoro a trasformarsi gradualmente in redditi d’appoggio, mentre i redditi da capitale si trasformano gradualmente in reddito principale. Un’altra costante interessante è che, se si scompongono con maggior rigore i redditi da capitale in redditi da capitale immobiliare (affitti) e redditi da capitale mobiliare (dividendi e interessi), si rileva che la forte crescita della quota dei redditi da capitale all’interno del decile superiore è dovuta in larga misura ai redditi da capitale mobiliare (soprattutto ai dividendi). Per esempio, in Francia, nel 1932 come nel 2005, la quota dei redditi da capitale passa da appena il 20% al livello del “9%” a circa il 60% al livello del dieci-millile superiore (lo 0,01% che detiene i redditi più elevati). In entrambi i casi, la forte crescita è dovuta per intero ai redditi finanziari (e quasi del tutto ai dividendi): la quota dei redditi da capitale immobiliare è ferma attorno al 10% del reddito totale, e all’interno del centile superiore tende persino a diminuire. La costante deriva dal fatto che i patrimoni elevati sono prevalentemente finanziari (in particolare azioni e partecipazioni a società).