Legislazione e politica

La nozione di regola aurea è stata ampiamente utilizzata, anche se in senso del tutto diverso, nel quadro del dibattito europeo sui deficit pubblici.46 Nel 1992, in occasione della creazione dell’euro, il Trattato di Maastricht ha previsto che il deficit di bilancio non possa superare il 3% del PIL e che il debito pubblico globale debba rimanere inferiore al 60% del PIL.47 La precisa logica economica che presiede alla scelta di queste cifre non è mai stata del tutto chiarita.48 A dire il vero, se non si calcolano gli attivi pubblici, e più in generale l’insieme del capitale nazionale, diventa molto difficile giustificare razionalmente questo o quel livello di debito pubblico. La vera ragione di fondo di questi criteri vincolanti – di cui non si trova esempio nella storia (per esempio, i parlamenti americano, britannico o giapponese non si sono mai imposti regole simili) – è già stata individuata più sopra. Essa deriva quasi inevitabilmente dal fatto che si è deciso di creare una moneta unica senza Stato: soprattutto senza creare un debito comune e senza unificare la scelta del livello di deficit. In teoria, se un parlamento di bilancio dell’eurozona si facesse carico della scelta di un deficit comune, ecco che questi criteri diventerebbero inutili. Si tratterebbe, in tal caso, di una scelta sovrana e democratica. Perché non esiste alcuna ragione convincente per imporre a priori regole come quelle, e ancor meno di scrivere regole del genere nelle costituzioni. Si può certo ritenere che, considerato il carattere ancora giovane dell’unione di bilancio in via di costruzione, la fiducia comune esiga regole specifiche, per esempio sotto forma di elevate maggioranze parlamentari, per superare un determinato livello di debito. Ma scolpire nel marmo un obiettivo intangibile di deficit e di debito, nel più totale disprezzo delle future maggioranze politiche europee, non è giustificabile.

Intendiamoci bene. Non ho alcuna simpatia particolare per il debito pubblico, a proposito del quale ho scritto a più riprese che finisce per favorire redistribuzioni alla rovescia: dai più poveri verso chi dispone di mezzi per prestare denaro allo Stato (un ceto privilegiato al quale sarebbe di gran lunga preferibile, in linea di massima, far pagare le tasse). A partire dalla metà del XX secolo e dalle drastiche riduzioni dei debiti pubblici del dopoguerra (o piuttosto dal loro forte assorbimento per mezzo dell’inflazione), esistono molte pericolose illusioni a proposito del debito pubblico, soprattutto sulle possibilità di redistribuzione sociale che esso può offrire, che mi sembra urgente dissipare.

Non sono poche le ragioni che inducono a pensare che non sia molto saggio scolpire nel marmo giuridico o costituzionale dei rigidi criteri di bilancio. In primo luogo, l’esperienza storica suggerisce che, in caso di grave crisi, è sovente necessario prendere urgenti decisioni di bilancio di un’ampiezza ben difficile da immaginare prima della crisi stessa. Lasciare a un giudice costituzionale (o a comitati di esperti) il compito di giudicare caso per caso circa l’opportunità di tali decisioni costituirebbe, secondo me, una forma di regressione democratica. In secondo luogo non sarebbe una procedura priva di rischio. L’intera storia, infatti, sta a dimostrare la fastidiosa tendenza dei giudici costituzionali a lanciarsi in interpretazioni estensive e azzardate – in genere molto conservatrici – dei testi giuridici riguardanti questioni fiscali e di bilancio.49 È un conservatorismo giuridico oggi particolarmente pericoloso per l’Europa, un continente nel quale si tende spesso ad anteporre il diritto assoluto alla libera circolazione delle persone, dei beni e dei capitali al diritto degli Stati di promuovere l’interesse generale, il quale comprende anche il diritto di far pagare le tasse.

In terzo luogo, e in particolare, è bene insistere sul fatto che non è possibile valutare correttamente il livello di deficit o di debito prescindendo da molteplici altri parametri relativi alla ricchezza mondiale. Nel merito, a giudicare dall’insieme dei dati disponibili, il fatto più sorprendente è che, in Europa, il patrimonio nazionale non è mai stato così alto. Il patrimonio pubblico netto è quasi nullo, considerata l’ampiezza dei debiti pubblici, mentre il patrimonio privato netto è talmente elevato che la somma dei due non è mai stata così alta da un secolo a questa parte. Per cui l’idea secondo la quale staremmo per lasciare ai nostri figli e nipoti un debito vergognoso e dovremmo ricoprirci il capo di cenere per farci perdonare è del tutto priva di senso. Dal punto di vista della vera regola aurea, quella che riguarda l’accumulazione totale del capitale nazionale, ci corre l’obbligo di dire che i paesi europei non sono mai stati così vicini al fatto di rispettarla. Al contrario, ciò che è più esatto, e anche abbastanza vergognoso, è che questo capitale nazionale risulta distribuito malissimo, con una ricchezza privata che grava sulla povertà pubblica, e la conseguenza che oggi stiamo pagando molti più interessi sul debito pubblico di quanto investiamo, per esempio, nell’istruzione superiore. Del resto è una realtà non nuova: considerata la crescita abbastanza lenta degli anni settanta e ottanta del Novecento, stiamo vivendo una fase storica in cui il debito costa globalmente molto caro alle finanze pubbliche.50 Ecco la ragione principale per cui occorre ridurre al più presto il debito: idealmente, mediante un prelievo progressivo ed eccezionale sul capitale privato, al riparo dall’inflazione. Anche se sono decisioni che devono essere prese da un parlamento sovrano, dopo un regolare dibattito democratico.51

Il capitale nel XXI secolo
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