Ritorno alle “tabelle sociali” e all’aritmetica politica

Ecco dunque le diverse ragioni per le quali le tabelle di distribuzione che abbiamo esaminato in questo capitolo costituiscono a nostro avviso lo strumento più adatto per studiare la distribuzione delle ricchezze, ben più degli indicatori sintetici e degli indici interdecili.

Aggiungiamo altresì che il nostro percorso è il più coerente con quello dei bilanci nazionali. A partire dal momento in cui i bilanci nazionali attuali fanno conoscere, nella maggioranza dei paesi, ciascuna annualità di reddito nazionale e l’insieme del patrimonio nazionale (dunque il reddito medio e il patrimonio medio, poiché le fonti demografiche registrano in modo preciso i numeri della popolazione totale), successivamente queste masse di redditi e di patrimoni devono essere suddivise tra i differenti decili e centili. È quanto raccomandano di fare molti rapporti tendenti a migliorare e a “umanizzare” i bilanci nazionali, anche se, a tutt’oggi, con risultati non troppo lusinghieri.25 Una suddivisione che consenta di distinguere il 50% più povero, il 40% intermedio e il 10% più ricco si può ragionevolmente considerare una prima tappa utile per procedere in tale direzione. In particolare, un approccio del genere ci fa capire fino a che punto il tasso di crescita del prodotto interno e del reddito nazionale possa riprodursi – o meno – nei redditi realmente percepiti dai diversi gruppi sociali. Per esempio, solo la conoscenza della quota del decile superiore ci dà la possibilità di sapere in quale misura una frazione sproporzionata della crescita sia stata recepita dalla fascia più alta della distribuzione. Mentre l’utilizzo di un coefficiente di Gini o di un rapporto interdecile non consente di rispondere al quesito in modo altrettanto preciso e trasparente.

Precisiamo infine che le tavole di distribuzione di cui raccomandiamo l’impiego sono in qualche modo abbastanza vicine alle tabelle sociali (social tables) in voga nel XVIII secolo e all’inizio del XIX. Elaborate nel Regno Unito e in Francia alla fine del XVII secolo e nel corso del XVIII, queste tabelle sono state usate in abbondanza, perfezionate e commentate in Francia durante il secolo dei Lumi, per esempio nel famoso articolo “Aritmetica politica” dell’Encyclopédie di Diderot. Dalle prime versioni stabilite da Gregory King per l’anno 1688 alle tavole più sofisticate concepite da Expilly o Isnard alla vigilia della Rivoluzione francese, o da Peuchet, Colquhoun e Blodget durante il periodo napoleonico, queste tabelle tentano sempre di offrire una visione d’insieme della struttura sociale: indicano il numero di nobili, di borghesi, di gentiluomini, di artigiani, di coltivatori ecc., nonché l’importo stimato dei loro redditi (a volte dei loro patrimoni), in connessione con le prime stime del reddito nazionale e della ricchezza nazionale quantificata all’epoca dai suddetti autori. La differenza sostanziale, ovviamente, è che le tavole in questione utilizzano le categorie sociali del tempo e non cercano di ripartire le ricchezze in termini di decili o di centili.26

Resta il fatto che queste tabelle, con la dimensione “fisica” che tentano di offrire della disuguaglianza e con la loro insistenza sulle quote di ricchezza nazionale detenute dai diversi gruppi sociali (in particolare dai diversi strati che compongono le élite), hanno un nesso evidente con il nostro tipo di approccio. E sono relativamente lontane, concettualmente, dalle asettiche misure statistiche delle disuguaglianze che si sono imposte troppo spesso nel XX secolo e che tendono a dare per scontato il problema della distribuzione, a vederlo in un modo atemporale e non conflittuale, come appunto fanno un Gini o un Pareto. Il modo in cui si valutano le disuguaglianze non è mai neutrale. Torneremo sul tema nei prossimi capitoli, quando chiameremo in causa Pareto e i suoi famosi coefficienti.

1 Cfr. H. de Balzac, Papà Goriot, trad. it. di Maurizio Cucchi, Roma, Editoriale l’Espresso, 2012, pp. 91-101.

2 Ibid., pp. 93-94. Per calcolare i redditi e le ricchezze, Balzac utilizza il più delle volte il franco-oro o la lira tornese (unità equivalenti dopo il conio del franco “germinale”), a volte lo scudo (moneta d’argento che nel XIX secolo vale 5 franchi) e più raramente il luigi d’oro (moneta da 20 franchi che valeva già 20 lire sotto l’ancien régime). Tutte queste unità sono talmente stabili, in quell’epoca senza inflazione, che il lettore passa agevolmente dall’una all’altra. Cfr. cap. 2. Torneremo in modo più dettagliato sugli importi citati da Balzac nel cap. 11.

3 Ibid., p. 94.

4 Secondo la stampa, il figlio di un ex presidente della Repubblica, studente presso la facoltà di Giurisprudenza di Parigi, avrebbe sposato per interesse l’erede della catena di negozi Darty; e sicuramente non ha incontrato la futura sposa nella pensione Vauquer.

5 Definiamo i decili in rapporto alla popolazione adulta (i minori, in genere, non hanno reddito) e, per quanto possibile, a livello individuale. Le stime indicate nelle tabelle 7.1-7.3 seguono questa definizione. Per determinati paesi – come la Francia e gli Stati Uniti –, i dati storici sui redditi sono disponibili solo in relazione alle famiglie (nel qual caso abbiamo aggiunto i redditi delle coppie). Ciò modifica leggermente i livelli delle quote dei vari decili, ma non cambia di molto le parabole a lungo termine che qui ci interessano. Per i salari, i dati storici sono disponibili, in genere, a livello individuale. Cfr. allegato tecnico.

6 Cfr. allegato tecnico e tabella S7.1.

7 Come già abbiamo potuto notare, la mediana designa il livello al di sotto della quale si trova metà della popolazione. In pratica, la mediana è sempre più bassa della media, perché le ripartizioni tendono quasi sempre a puntare verso l’alto, il che non può che spingere la media (e non la mediana) verso l’alto. Per i redditi da lavoro, la mediana è in genere attorno all’80% rispetto alla media (per esempio attorno a 1600 euro di salario mediano per un salario medio di 2000 euro). Per i patrimoni, la mediana può essere anche molto bassa, spesso attorno appena al 50% del patrimonio medio, ossia quasi zero, se la metà più povera della popolazione non possiede quasi nulla.

8 “Che cos’è il Terzo Stato? Tutto. Che cos’è stato finora nell’ordine politico? Niente. Che cosa chiede? Di diventare qualcosa.”

9 Secondo l’uso corrente, i redditi da compenso sostitutivo, vale a dire le pensioni da fine rapporto e le indennità di disoccupazione destinate a compensare la perdita del reddito da lavoro, finanziate da quote pagate in precedenza sui salari (secondo una logica contributiva), sono stati inclusi nei redditi primari da lavoro – altrimenti la disuguaglianza dei redditi da lavoro tra la popolazione adulta sarebbe sensibilmente, e in parte artificialmente, più alta di quella corrispondente ai livelli indicati nelle tabelle 7.1 e 7.3 (considerato l’alto numero di pensionati e di disoccupati che dispongono di redditi da lavoro nulli). Nella Parte quarta del volume torneremo sulle redistribuzioni operate dai sistemi pensionistici e di disoccupazione, sistemi che per ora consideriamo semplici forme di “salario differito”.

10 Per il dettaglio dell’insieme dei calcoli – elementari – cfr. la tabella S7.1.

11 La quota del decile superiore americano è sicuramente più vicina al 75% del patrimonio totale.

12 Cfr. allegato tecnico.

13 È difficile dire se questo criterio fosse rispettato nell’Unione Sovietica e nei paesi dell’ex blocco comunista, vista la mancanza di dati disponibili. In ogni caso, il capitale, in quell’area, era principalmente detenuto dal potere pubblico, il che limita di molto l’interesse della questione.

14 Notiamo che, nella “società ideale” ipotizzata nella tabella 7.2, la disuguaglianza resta comunque forte (il 10% più abbiente possiede una massa di patrimoni più ingente di quella del 50% meno abbiente, anche se è cinque volte meno numeroso; l’1% privilegiato detiene un patrimonio medio venti volte più alto di quello del 50% meno abbiente). Non è certo vietato avere obiettivi più ambiziosi.

15 Ovvero 400.000 euro in media per due adulti, per esempio per una coppia.

16 Cfr. capp. 3, 4 e 5. Per le cifre esatte, cfr. allegato tecnico.

17 Sui beni durevoli, cfr. cap. 5 e allegato tecnico.

18 Esattamente 35/9 (trentacinque noni) di 200.000 euro, ovvero 777.778 euro. Cfr. tabella S7.2.

19 Per rendersene conto, basta prolungare l’esercizio aritmetico sopra descritto. Con un patrimonio medio di 200.000 euro, la “fortissima” disuguaglianza di capitale raffigurata nella tabella 7.2 corrisponde, per il 50% più povero, a un patrimonio medio di 20.000 euro, per il 40% intermedio a un patrimonio di 25.000 euro e per il 10% più ricco a un patrimonio di 1,8 milioni (890.000 euro per il 9% e 10 milioni per l’1%). Cfr. allegato tecnico e tabelle S7.1-7.3.

20 Se ci si riferisce al capitale finanziario e professionale, vale a dire al controllo delle imprese e dell’apparato del lavoro, la quota del decile superiore supera il 70-80% del totale. Per la maggior parte della popolazione, la proprietà delle imprese rimane ancora una nozione estremamente astratta.

21 La crescente sovrapposizione delle due dimensioni della disuguaglianza potrebbe per esempio svilupparsi per effetto della crescita tendenziale delle rette d’iscrizione alle università (torneremo più avanti sull’argomento).

22 Questi calcoli sottostimano leggermente i veri coefficienti di Gini, poiché ipotizzano un numero finito di gruppi sociali (quelli indicati nelle tabelle 7.1-7.3), mentre la realtà soggiacente è quella di una distribuzione continua. Per il dettaglio dei risultati ottenuti con un numero diverso di gruppi sociali, cfr. allegato tecnico e tabelle S7.4-S7.6.

23 Vengono anche impiegati i rapporti P90/P50, P50/P10, P75/P25 ecc. (P50 corrisponde al 50° centile, cioè alla mediana, P25 e P75 al 25° e al 75° centile).

24 In ugual modo, la scelta di misurare le disuguaglianze a livello individuale o a livello di famiglie può avere un impatto molto più forte – e soprattutto più volatile – sui rapporti interdecili del tipo P90/P10 (in particolare per il numero elevato di donne che non lavorano e si dedicano alla famiglia) che sulla quota della metà inferiore nella composizione totale dei redditi. Cfr. allegato tecnico.

25 Per esempio il rapporto Stiglitz-Sen-Fitoussi, pubblicato nel 2009 [cfr. http//www.stiglitz-sen-fitoussi.fr].

26 Queste “tabelle” vanno accostate – almeno nello spirito – al famoso Tableau économique pubblicato da François Quesnay nel 1758, testo che offre le prime rappresentazioni sintetiche del funzionamento dell’economia e degli scambi tra gruppi sociali. In vari paesi è possibile trovare “tabelle sociali” molto più antiche, risalenti addirittura al mondo classico. Cfr. le interessanti tabelle raccolte da B. Milanovic, P. H. Lindert, J. G. Williamson, Measuring Ancient Inequality, NBER Working Paper 13550, 2007. Cfr. anche B. Milanovic, The Haves and the Have-Not: A Brief and Idiosyncratic History of Global Inequality, New York, Basic Books, 2010. Purtroppo il grado di omogeneità e di compatibilità dei materiali studiati non è sempre soddisfacente. Cfr. allegato tecnico.

Il capitale nel XXI secolo
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