La nozione di reddito nazionale

Riteniamo utile cominciare introducendo la nozione di “reddito nazionale”, nozione alla quale faremo sovente ricorso nel libro. Per definizione, il reddito nazionale misura l’insieme dei redditi di cui dispongono i residenti di un dato paese nel corso di un anno, quale che sia la forma giuridica assunta da tali redditi.

Il reddito nazionale è strettamente collegato alla nozione di “prodotto interno lordo” (PIL), impiegata spesso nel dibattito pubblico, anche se con una duplice, differente valenza. Il PIL misura l’insieme dei beni e dei servizi prodotti nel corso di un anno sul territorio di un determinato paese. Per calcolare il reddito nazionale bisogna cominciare a sottrarre dal PIL la svalutazione del capitale che ha concorso a realizzare il prodotto, vale a dire l’usura di edifici, infrastrutture, macchinari, veicoli, computer ecc.: una notevole quantità di denaro – oggi, nella maggioranza dei paesi, stimabile intorno al 10% del PIL – che non costituisce alcun valore di reddito per nessun soggetto. Prima di distribuire salari ai lavoratori e dividendi agli azionisti, o di realizzare nuovi investimenti (in senso effettivo), occorre iniziare a sostituire o riparare il capitale usurato. E se non lo si fa, si va incontro a una perdita di patrimonio, dunque a un reddito negativo per i proprietari. Una volta dedotta la quota di PIL relativa ai suddetti consumi, si ottiene il “prodotto interno netto”, che chiameremo semplicemente “prodotto interno” e che corrisponde in genere al 90% del PIL.

Dopodiché occorre aggiungere i redditi netti dall’estero (o rintracciare i redditi netti versati all’estero, a seconda della situazione di ciascun paese). Per esempio, un paese nel quale il complesso delle imprese e del capitale è di proprietà straniera può benissimo avere, una volta dedotti i profitti e gli interessi dall’estero, un prodotto interno molto elevato ma un reddito nazionale nettamente più basso. Mentre un paese che possiede buona parte del capitale di altri paesi può disporre di un reddito nazionale molto più elevato rispetto al suo prodotto interno.

Torneremo più avanti su esempi relativi ai due tipi di situazione, ricavandoli dalla storia del capitalismo e del mondo attuale. Per il momento, precisiamo che questo genere di disuguaglianze internazionali può generare forti tensioni politiche. Non è indifferente, per un paese, lavorare per un altro paese, e versargli regolarmente una quota significativa del proprio prodotto in forma di dividendi e di affitti. Affinché un tale sistema possa reggere – fino a un certo punto –, deve spesso conformarsi a rapporti di sudditanza politica, com’è accaduto all’epoca del colonialismo, quando l’Europa possedeva di fatto una buona parte del resto del mondo. Una delle questioni cruciali della nostra ricerca è sapere in quale misura e a quali condizioni questo tipo di situazione possa riprodursi nel corso del XXI secolo, anche sotto altre configurazioni geopolitiche, per esempio con l’Europa nel ruolo di chi è posseduto e non più di chi possiede (timore oggi molto diffuso nel Vecchio Continente – forse troppo, come vedremo).

Per ora limitiamoci a notare che la maggioranza dei paesi, ricchi o emergenti, si trova oggi in una situazione assai più equilibrata di quanto a volte si pensi. In Francia come negli Stati Uniti, in Germania come nel Regno Unito, in Cina come in Brasile, in Giappone come in Italia, il reddito nazionale non è oggi molto distante dal prodotto interno – circa l’1-2%. In altri termini, in tutti questi paesi i flussi di entrata e uscita di profitti, interessi, dividendi, affitti ecc. si equilibrano tra loro, con, in genere, redditi netti dall’estero leggermente più positivi per i paesi ricchi. In linea di massima, i residenti dei paesi citati possiedono all’incirca, tramite i loro investimenti immobiliari e finanziari nel resto del mondo, la stessa quota di ricchezza che il resto del mondo possiede sul loro territorio. Contrariamente a quanto spesso si crede, la Francia non è proprietà dei fondi pensione californiani o della Banca della Cina, così come gli Stati Uniti non sono di proprietà degli investitori giapponesi o tedeschi. I fantasmi partoriti dal timore che si verifichino situazioni del genere sono, in questo ambito, talmente spaventosi da offuscare spesso la realtà. Oggi la realtà è che la disuguaglianza del capitale è molto più un fattore interno che esterno: contrappone più i ricchi e i poveri all’interno di ciascun paese che tra un paese e l’altro. In ogni caso, nel corso della storia, non sempre è stato così, ed è perfettamente legittimo domandarsi per effetto di quali condizioni la situazione potrebbe modificarsi nel corso del XXI secolo, tanto più che certi paesi – il Giappone, la Germania, paesi produttori di petrolio e in misura minore la Cina – hanno accumulato nel recente passato crediti non trascurabili (anche se, oggi, nettamente inferiori ai record coloniali) rispetto al resto del mondo. Vedremo anche come il fortissimo progresso delle partecipazioni incrociate tra paesi diversi (ciascuno è in larga misura proprietà degli altri) possa legittimamente accrescere il senso di espropriazione, soprattutto se le quote nette sono relativamente deboli.

Riassumendo, a livello di ciascun paese, il reddito nazionale può essere superiore o inferiore al prodotto interno a seconda che i redditi netti dall’estero siano positivi o negativi:

Reddito nazionale = prodotto interno + redditi netti dall’estero6

A livello mondiale, i redditi ricevuti o versati dall’estero si equilibrano, per cui il reddito è per definizione pari al prodotto:

Reddito mondiale = prodotto mondiale7

Questa coincidenza tra i flussi annuali di reddito e di prodotto è sì una risultanza concettuale e contabile, ma traduce anche una realtà importante. Nel corso di un dato anno, non è possibile distribuire una quota maggiore di reddito se non si sono prodotte nuove ricchezze (salvo indebitarsi nei confronti di un altro paese, il che non è possibile a livello mondiale). Viceversa, tutto il prodotto deve essere distribuito sotto forma di redditi – in un modo o in un altro: sia in forma di salari, trattamenti, spettanze, indennità ecc. versati ai salariati e alle persone che hanno prodotto lavoro nella produzione (redditi da lavoro), sia in forma di profitti, dividendi, interessi, affitti, bonus ecc. distribuiti ai proprietari del capitale impiegato nella produzione (redditi da capitale).

Il capitale nel XXI secolo
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