La privatizzazione del patrimonio nei paesi ricchi

La fortissima crescita dei patrimoni privati osservata tra il 1970 e il 2010 nei paesi ricchi, soprattutto in Europa e in Giappone, si spiega in gran parte attraverso la legge β = s/g, con il rallentamento della crescita e il mantenimento di un risparmio elevato. Tuttavia, se il fenomeno del ritorno del capitale privato ha assunto un’ampiezza tanto considerevole, è perché la dinamica principale è stata amplificata da due effetti complementari: il primo corrisponde a un processo di privatizzazione e di graduale trasferimento della ricchezza pubblica verso la ricchezza privata; il secondo a un fenomeno di riallineamento a lungo termine dei prezzi dell’attivo.

Cominciamo con la privatizzazione. Nel precedente capitolo abbiamo già notato, a proposito degli ultimi decenni, la forte riduzione della quota di capitale pubblico nella composizione del capitale nazionale, in particolare in Francia e in Germania, paesi nei quali il patrimonio pubblico netto arrivava negli anni cinquanta e settanta fino a un quarto – o a un terzo – del patrimonio nazionale e in cui oggi equivale a una percentuale minima (gli attivi pubblici consentono appena di riequilibrare i passivi). Si tratta in realtà di una tendenza molto generale, che investe l’insieme di tutti i paesi ricchi: nelle prime otto economie sviluppate del pianeta, si osserva tra il 1970 e il 2010 una graduale diminuzione del rapporto tra capitale pubblico e reddito nazionale, contestuale alla crescita del rapporto tra capitale privato e reddito nazionale (cfr. grafico 5.5). In altri termini, il ritorno dei patrimoni privati rispecchia in buona parte un processo di privatizzazione del patrimonio nazionale. Certo, in tutti i paesi la crescita del capitale privato è stata nettamente superiore al calo del capitale pubblico, per cui il capitale nazionale – calcolato in annualità di reddito nazionale – è cresciuto di conseguenza, anche se, considerato il processo di privatizzazione, è cresciuto con meno vigore del capitale privato.

Grafico 5.5.
Capitale privato e pubblico nei paesi ricchi, 1970-2010

In Italia, tra il 1970 e il 2010, il capitale privato è passato dal 240% al 680% del reddito nazionale, mentre il capitale pubblico è passato da 20% a -70%.
Fonti e dati: cfr. http://piketty.pse.ens.fr/capital21c.

Spicca su tutti il caso dell’Italia. Negli anni settanta il patrimonio pubblico netto era leggermente positivo, per poi diventare ampiamente negativo a partire dagli anni ottanta e novanta, in seguito all’accumularsi di enormi deficit pubblici. In totale, tra il 1970 e il 2010, la ricchezza pubblica è diminuita dell’equivalente di circa un’annualità di reddito nazionale, mentre, nel medesimo periodo, i patrimoni privati sono passati da appena due annualità e mezza di reddito nazionale nel 1970 a quasi sette annualità nel 2010, con un crescita di circa quattro annualità e mezza. In altri termini, la diminuzione del patrimonio pubblico equivale a un quinto o a un quarto della crescita dei patrimoni privati, fatto tutt’altro che trascurabile. Il patrimonio italiano è sì cresciuto in misura notevole, passando da circa due annualità e mezza di reddito nazionale nel 1970 a circa sei annualità nel 2010, ma molto meno del patrimonio privato, la cui straordinaria crescita è in parte ingannevole, poiché corrisponde per quasi un quarto a un debito crescente del paese nei confronti di un’altra parte. Anziché pagare le tasse per equilibrare i bilanci pubblici, gli italiani – o quantomeno la media degli italiani – hanno prestato denaro al governo acquistando buoni del Tesoro o attivi pubblici, accrescendo così il loro patrimonio privato senza accrescere il patrimonio nazionale.

Di fatto, in Italia, nel periodo 1970-2010, malgrado un notevolissimo risparmio privato (circa il 15% del reddito nazionale), il risparmio nazionale è stato inferiore al 10% del reddito nazionale. In altri termini, più di un terzo del risparmio privato è stato assorbito dal deficit pubblico. Lo schema è comune a tutti i paesi ricchi, ma ha in genere un carattere meno spiccato che in Italia. Nella maggioranza dei paesi, il risparmio pubblico è stato negativo (nel senso che l’investimento pubblico è stato inferiore al deficit pubblico, o perché il potere pubblico ha investito di meno di quanto abbia ricevuto in prestito, o perché i prestiti sono serviti a finanziare le spese correnti), ma in Francia, nel Regno Unito, in Germania e negli Stati Uniti il deficit pubblico ha superato in media, nel periodo 1970-2010, gli investimenti pubblici di circa il 2-3% del reddito nazionale, mentre in Italia lo ha superato di oltre il 6% (cfr. tabella 5.4).18

In definitiva, in tutti i paesi ricchi, al mancato risparmio pubblico e alla diminuzione del patrimonio pubblico che ne discende corrisponde in larga misura la crescita dei patrimoni privati (tra una decima e una quarta parte, a seconda dei paesi). Non è un dato che spieghi tutto, ma è comunque un dato tutt’altro che trascurabile.

Tabella 5.4.
Risparmio privato e pubblico nei paesi ricchi, 1970-2010

Una parte significativa (e variabile a seconda dei paesi) del risparmio privato è assorbita dai deficit pubblici: da ciò ne consegue un risparmio nazionale (privato + pubblico) inferiore al risparmio privato.
Fonti e dati: cfr. http://piketty.pse.ens.fr/capital21c.

È inoltre possibile che le stime disponibili sottovalutino un poco il valore degli attivi pubblici negli anni settanta, in particolare nel Regno Unito (forse anche in Italia e in Francia), e di conseguenza ci portino a sottovalutare l’ampiezza dei trasferimenti tra ricchezza pubblica e ricchezza privata.19 Il che potrebbe aiutarci, in particolare, a spiegare perché i patrimoni privati britannici sono tanto cresciuti, nel corso del periodo 1970-2010, a dispetto di un risparmio privato del tutto insufficiente, soprattutto in seguito all’ondata di privatizzazioni delle imprese pubbliche che ha caratterizzato gli anni ottanta e novanta, privatizzazioni spesso realizzate a costi ostentatamente bassi, in modo da garantire la popolarità dell’operazione presso gli acquirenti.

È importante precisare che i processi di trasferimento di patrimonio dal settore pubblico a quello privato non si sono solo verificati nei paesi ricchi, a partire dagli anni settanta. Tutt’altro. Un processo analogo è riscontrabile in tutti i continenti. Su scala mondiale, la più massiccia operazione di privatizzazione degli ultimi decenni, e senz’altro di tutta la storia del capitale, è evidentemente quella che riguarda i paesi dell’ex blocco sovietico.

Le stime di cui disponiamo, molto imprecise, indicano che i patrimoni privati in Russia e nei paesi dell’Europa dell’Est si aggirano, tra la fine del primo e l’inizio del secondo decennio del XXI secolo attorno a quattro annualità di reddito nazionale, e che il patrimonio pubblico netto è alquanto ridotto, esattamente come nei paesi ricchi. Le stime disponibili per gli anni settanta e ottanta, prima della caduta del Muro e del crollo dei regimi comunisti, sono ancora più imprecise. Ma tutto sta a indicare che la distribuzione era esattamente rovesciata rispetto a oggi: i patrimoni privati erano ridotti a poca cosa (alcuni piccoli appezzamenti di terreno individuali o una piccola parte di alloggi, nei paesi comunisti più aperti alla proprietà privata, equivalenti in ogni caso a meno di un’annualità di reddito nazionale), e il capitale pubblico rappresentava – a una prima approssimazione – la totalità del capitale industriale e la parte più consistente del capitale nazionale, in totale, tra le tre e le quattro annualità di reddito nazionale. In altri termini, il livello del capitale nazionale non è, di fatto, cambiato: si è semplicemente invertita la distribuzione tra capitale pubblico e capitale privato.

Riassumendo. La fortissima crescita dei patrimoni privati russi ed est europei tra la fine degli anni ottanta e i successivi venti anni, crescita che in alcuni casi individuali ha assunto l’aspetto di arricchimenti spettacolarmente rapidi (pensiamo in particolare agli oligarchi russi), non ha ovviamente niente a che vedere con il risparmio e la legge dinamica β = s/g. Si tratta di un puro e semplice trasferimento della proprietà del capitale detenuto dalla mano pubblica alla mano privata. Tanto che il processo di privatizzazione del patrimonio nazionale osservato nei paesi sviluppati dopo gli anni settanta e ottanta può essere considerato una forma assai attenuata di questo processo estremo e particolare.

Il capitale nel XXI secolo
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