Riscaldamento climatico e capitale pubblico
L’altro tema di fondo sul quale gli argomenti della regola aurea esercitano un impatto importante è il riscaldamento climatico e, più in generale, il possibile degrado del capitale naturale nel corso del XXI secolo. Se valutiamo il capitale nazionale e mondiale in una prospettiva globale, si tratta con tutta evidenza dell’allarme principale, a lungo termine. Il Rapporto Stern, che è stato pubblicato nel 2006 e che ha tanto colpito l’opinione pubblica, calcola i possibili danni causati all’ambiente da qui alla fine del secolo, e li quantifica, sulla base di scenari plausibili, in decine di punti di PIL. Il dibattito degli economisti sul Rapporto Stern si è imperniato perlopiù su una domanda: qual è il tasso in base al quale è possibile valutare oggi i danni di domani? Per il britannico Nick Stern, sarebbe opportuno utilizzare un tasso di attualizzazione relativamente ridotto, più o meno pari al tasso di crescita (1-1,5% annuo), un tasso secondo il quale i danni futuri appaiono già piuttosto elevati, dal punto di vista delle generazioni presenti. La conclusione del rapporto è perciò una sola: è indispensabile agire immediatamente ed energicamente. Per l’americano William Nordhaus, invece, sarebbe opportuno utilizzare un tasso di attualizzazione più vicino al tasso di rendimento medio del capitale (4-4,5% annuo), un tasso secondo il quale le catastrofi future appaiono molto meno inquietanti. In altri termini, tutti sono concordi sulla valutazione dei danni futuri (peraltro non accertabili), ma ne ricavano conclusioni molto diverse. Per Stern, la perdita, per l’umanità, del benessere generale sarebbe talmente grave da giustificare, fin d’ora, una spesa di almeno 5 punti di PIL mondiale annuo per cercare di limitare il futuro riscaldamento globale. Per Nordhaus, si tratta invece di una proposta del tutto irragionevole, perché le generazioni future saranno più ricche e più produttive della nostra, e troveranno il modo di uscirne, magari consumando di meno: soluzione che, in ogni caso, sarà molto meno costosa per il benessere universale degli sforzi che ci costerebbe la previsione di Stern. Questa è in sostanza la conclusione dei suoi sapienti calcoli.
Se dovessi scegliere, in merito alla dotta controversia, direi che le conclusioni di Stern mi sembrano più ragionevoli di quelle di Nordhaus, le quali sono la testimonianza di un ottimismo certo simpatico, e – guarda caso – del tutto coerente con la strategia americana delle emissioni incontrollate di anidride carbonica, ma tutto sommato poco convincente.52 Ho comunque l’impressione che questo dibattito relativamente astratto sul tasso di attualizzazione sfiori soltanto quella che resta la questione di fondo. In effetti, nel pubblico confronto, soprattutto in Europa, ma anche in Cina o negli Stati Uniti, si sente sempre più parlare della necessità di lanciare un vasto programma di investimenti finalizzato alla scoperta di nuove tecnologie non inquinanti e di fonti di energia rinnovabili abbastanza copiose da poter fare a meno degli idrocarburi. Si tratta di un dibattito, sul “rilancio ecologico”, oggi molto intenso in particolare sulla scena europea, per la semplice ragione che si vede una possibile via d’uscita dall’attuale marasma economico. E si tratta di una strategia tanto più attraente in quanto il tasso d’interesse sul quale molti Stati regolano i loro prestiti è oggi estremamente basso. Se gli investitori privati non sanno più come spendere e investire, perché il potere pubblico non dovrebbe investire sul futuro, evitando così un probabile degrado del capitale naturale?53 È uno dei maggiori temi di confronto per il domani. Anziché preoccuparsi del debito pubblico (che è assai inferiore ai patrimoni privati, e che in sostanza si può cancellare abbastanza facilmente), è ben più urgente preoccuparsi di accrescere il nostro capitale di conoscenze ed evitare il degrado del capitale naturale. Ed è un tema molto più serio e arduo di altri, perché non è sufficiente un colpo di penna (o un’imposta sul capitale, che è lo stesso) per far sparire l’effetto serra. In pratica, l’interrogativo di fondo è il seguente. Supponiamo che Stern abbia più o meno ragione, e che sia legittimo spendere ogni anno l’equivalente del 5% di PIL mondiale per evitare la catastrofe. Siamo sicuri di sapere quali investimenti realizzare e come organizzarli? Se si tratta di investimenti pubblici, è importante essere consapevoli che si tratta di importi considerevoli, ben superiori, per esempio, a quelli previsti dagli investimenti pubblici realizzati oggi nei paesi ricchi.54 Se si tratta di investimenti privati, occorre precisare le modalità di finanziamento pubblico, e la natura dei diritti di proprietà sulle tecnologie e i brevetti che ne deriveranno. Di più: bisogna puntare tutto sulla ricerca avanzata, per accelerare i progressi sulle energie rinnovabili, oppure bisogna imporre immediatamente fortissime riduzioni al consumo di idrocarburi? Sarebbe saggio fare ricorso a una strategia equilibrata, che si giovi di tutti gli strumenti disponibili.55 Tuttavia, al di là di questa considerazione di buonsenso, è bene sottolineare che nessuno, a tutt’oggi, conosce le risposte da dare a sfide di simile portata e il ruolo esatto che dovrà essere svolto dal potere pubblico per evitare il possibile degrado del capitale naturale nel corso del XXI secolo.