Il codice civile e l’illusione della Rivoluzione francese

Come si spiega, allora, che in Francia, per tutto il XIX secolo, la concentrazione dei patrimoni non abbia cessato di crescere e abbia raggiunto, durante la belle époque, un livello ancora superiore a quello in vigore al momento dell’introduzione del codice civile, e un livello di poco inferiore a quello del Regno Unito, monarchico e aristocratico? Nel qual caso sarebbe chiaro che l’uguaglianza dei diritti e delle opportunità non basta ad assicurare l’uguaglianza dei beni.

In realtà, quando il tasso di rendimento da capitale supera di gran lunga e stabilmente il tasso di crescita, la dinamica dell’accumulazione e della trasmissione dei patrimoni porta automaticamente a una forte concentrazione della proprietà – e la spartizione paritaria tra eredi non cambia granché la cosa. Come abbiamo sottolineato in precedenza, all’interno delle traiettorie patrimoniali delle famiglie esistono sempre crisi demografiche o economiche. E si può dimostrare, con l’aiuto di un modello matematico abbastanza semplice, che per una data struttura di crisi del genere, la disuguaglianza della distribuzione dei patrimoni tende, nel lungo termine, ad avvicinarsi a un livello d’equilibrio, e che tale livello d’equilibrio comporta una crescita della disuguaglianza r > g tra tasso di rendita e tasso di crescita. Intuitivamente, r > g misura la velocità con la quale un patrimonio, i cui redditi siano per intero reinvestiti e ricapitalizzati, amplia il proprio divario rispetto al reddito medio. Più è elevato r > g, più è potente la forza di divergenza. Se le crisi demografiche o economiche si moltiplicano (un buon investimento o un cattivo investimento ha un effetto tanto più forte quanto più è alto il capitale iniziale), la ripartizione d’equilibrio raggiunta sul lungo termine assume la forma di una delle leggi di Pareto (forma matematica che è propria di una power law tale da permettere di descrivere abbastanza bene le disparità osservate). È abbastanza facile dimostrare che il coefficiente di questa legge di Pareto, che misura il grado di disuguaglianza della distribuzione della proprietà, è un forte fattore di crescita della disuguaglianza r > g.25

In concreto, se il divario tra il rendimento da capitale e il fattore di crescita arriva a un livello elevato come quello osservato in Francia nel XIX secolo, con un rendimento medio dell’ordine del 5% annuo e una crescita dell’ordine dell’1% annuo, il modello prevede che il processo dinamico di accumulo delle ricchezze porterà automaticamente a una concentrazione patrimoniale molto forte, dell’ordine del 90% del capitale detenuto dal decile superiore della gerarchia, e del 50% abbondante detenuto dal centile superiore.26

In altri termini, la disuguaglianza di fondo r > g è sufficiente a dar conto della fortissima disuguaglianza della proprietà del capitale osservata nel XIX secolo – e in un certo modo del fallimento della Rivoluzione francese. Se è vero, infatti, che le assemblee rivoluzionarie vararono una fiscalità universale (per cui abbiamo potuto fornire un osservatorio esemplare dei patrimoni – strumento inestimabile di conoscenza), è anche vero che i tassi d’imposta ottenuti alla fine furono talmente bassi – appena l’1-2% sui patrimoni trasmessi in linea diretta per tutto il XIX secolo, comprese le successioni più consistenti – da non poter esercitare un impatto consistente sul divario tra il tasso di rendimento da capitale e il tasso di crescita. In tali condizioni, non dobbiamo stupirci del fatto che nel XIX secolo le disparità delle ricchezze restino pressoché invariate rispetto a quelle della belle époque, tanto nella Francia repubblicana quanto nel Regno Unito monarchico. La natura esterna della forma istituzionale pesa ben poco sulla disuguaglianza r > g.

Quanto alla questione della divisione paritaria tra fratelli e sorelle, pesa sì, ma sempre meno della disuguaglianza r > g. In concreto, la primogenitura, o più esattamente la primogenitura per i terreni agricoli – un valore economico che, nel Regno Unito del XIX secolo, diventa sempre meno importante nella composizione del capitale nazionale – contribuisce ad accentuare l’ampiezza delle crisi demografiche ed economiche (crea cioè una disuguaglianza supplementare a seconda del posto occupato nel gruppo dei fratelli) e porta a un coefficiente di Pareto più alto e a una maggiore concentrazione del capitale – ecco perché la quota del decile superiore è, nel Regno Unito dei primi del Novecento, leggermente maggiore rispetto alla Francia (un po’ più del 90% del patrimonio totale, contro un po’ meno del 90%), e soprattutto ecco perché è nettamente più forte, oltremanica, la quota del centile superiore: il 70% contro il 60%, un divario spiegabile con il mantenimento di un numero non esteso ma significativo di grandi proprietà terriere. Ma questo effetto è in parte compensato dalla debolezza della crescita demografica francese (la disuguaglianza cumulativa dei patrimoni è, sempre in base alla logica r > g, strutturalmente più forte con una popolazione a crescita zero), e destinato ad avere un impatto modesto sulla distribuzione d’insieme, di fatto assai vicina nei due paesi in questione.27

A Parigi, dove il codice civile napoleonico viene applicato in tutto il suo rigore a partire dal 1804, e dove la disuguaglianza non può certo essere messa in conto agli aristocratici britannici o alla regina d’Inghilterra, il centile superiore della gerarchia delle ricchezze detiene nel 1913 più del 70% del patrimonio totale, vale a dire una percentuale ancora più alta che nel Regno Unito. È una realtà talmente consistente da aver influenzato anche il mondo dei cartoni animati: negli Aristogatti, la cui vicenda si svolge a Parigi nel 1910, l’importo della ricchezza della vecchia signora non viene precisato, ma, a giudicare dallo splendore della magione in cui abita e dall’energia impiegata dal perfido maggiordomo Edgar per sbarazzarsi di Duchessa e dei suoi tre cuccioli, la somma deve essere sicuramente più che ragguardevole.

Spicca, dal punto di vista della logica r > g, un altro dato interessante. Il fatto che il tasso di crescita sia passato da appena lo 0,2% annuo fino al XVII secolo allo 0,5% nel XVIII e poi all’1% nel XIX non sembra aver prodotto molta differenza: pur con un tasso di rendimento dell’ordine del 5%, la variazione non cambia granché la situazione, e questo malgrado la Rivoluzione industriale in atto, il cui effetto pare sia stato quello di aumentare, sia pure di poco, il rendimento da capitale.28 Secondo il modello teorico, affinché la disuguaglianza della distribuzione d’equilibrio diminuisca sensibilmente, a un dato tasso di rendimento dell’ordine del 5% annuo, occorre che il tasso di crescita superi l’1,5-2% annuo – o che le imposte sul capitale facciano scendere il rendimento netto al di sotto del 3-3,5%, o che si verifichino tutte e due le circostanze (torneremo più avanti sull’argomento).

Precisiamo infine che, se r > g supera un certa soglia, la distribuzione d’equilibrio cessa di esistere: le disuguaglianze patrimoniali crescono illimitatamente, e il punto più alto della distribuzione diverge indefinitamente dal punto intermedio. L’esatto livello della soglia dipende in sostanza dai comportamenti in materia di risparmio: la divergenza è tanto più probabile quanto più è elevata l’incertezza dei detentori di grandi patrimoni su come spendere il proprio denaro e quanto più è elevata la tendenza a ricapitalizzarli. Il film Gli Aristogatti fornisce ancora una volta un ottimo esempio: Madame Adelaide dispone chiaramente di rendite considerevoli, al punto che non sa più che cosa inventarsi per compiacere Duchessa, Minou, Matisse e Bizet, che passano da un corso di pianoforte a uno di pittura, annoiandosi in entrambi i casi.29 Vedremo nel prossimo capitolo che l’episodio spiega benissimo la crescita tendenziale della concentrazione dei patrimoni in Francia – in particolare a Parigi – durante la belle époque: i detentori di grossi patrimoni diventano sempre più anziani e reinvestono una parte rilevante delle proprie rendite, per cui il loro capitale cresce molto più in fretta della crescita dell’economia. Come abbiamo già notato, una simile spirale di disuguaglianza non può, per principio, durare all’infinito: il meccanismo stabilizzatore nasce dal fatto che il risparmio in questione non saprà più, a un determinato momento, quali forme di reinvestimento trovare, per cui il rendimento mondiale del capitale finirà inevitabilmente per scendere in misura sensibile. È a questo punto che, a stabilizzare le disuguaglianze, interviene la distribuzione d’equilibrio. Il tutto, però, richiede molto, molto tempo. E, visto che nel 1913 la quota del centile superiore nella composizione delle ricchezze parigine superava già il 70%, era più che lecito nutrire qualche ansia circa il livello al quale la stabilizzazione avrebbe potuto innescarsi – se non ci avesse pensato la catastrofe economica innescata dalla prima guerra mondiale.

Il capitale nel XXI secolo
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